Col via libera alla legge di stabilità, approvata in testo unico sulla fiducia con 350 voti favorevoli, 196 contrari e un astenuto, è passata anche la cosiddetta webtax. In pratica, considerando che il voto di lunedì in Senato è bloccato, l’unico voto che contava era quello di stamani. Ma nel pomeriggio, un ordine del giorno ha in un certo senso sospeso la sua attuazione. La ragione è l’Europa.
Sul tema ormai si sono sprecati i commenti. Non sempre all’altezza della situazione, non sempre specchiati in quanto a conflitto di interessi. Ma tra lo scontro Boccia-Scorza e il voto di oggi si segnalano, almeno, l’ottimo commento di Andrea Pezzi, uno dei pochi sostenitori del provvedimento così com’è, e l’altrettanto illuminante commento del giornalista Luca Alagna.
A fare da spartiacque tra queste due sponde, la brevissima dichiarazione di Enrico Letta, che oggi dalla riunione del Consiglio Europeo dei Ministri ha detto quello che tutti i detrattori della webtax volevano sentirsi dire:
La web tax ha bisogno di un coordinamento con le norme europee, è essenziale.
Perché in questo momento di crisi ci sono così tanti disposti a difendere gli interessi di chi non paga le tasse? pic.twitter.com/tbGk4c2LES
— Andrea Pezzi (@andreapezzi) December 20, 2013
"Serve un coordinamento con le norme europee" is the new "è una boiata pazzesca". #webtaxhttp://t.co/zyZH8qZyVZ
— C.A. Carnevale-Maffè (@carloalberto) December 20, 2013
L’odg di Lorenza Bonaccorsi: notifica EU e sospensione
Per correre ai ripari, un Ordine del giorno, il numero 43, firmato dalla deputata PD Lorenza Bonaccorsi ha subordinato la webtax all’ok di Bruxelles impegnando il governo alla notifica presso la Commissione Europea. Inoltre, si immagina anche la sospensione:
Intraprendere ogni iniziativa urgente utile a evitare che la norma introdotta procuri un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro paese, eventualmente anche sospendendo gli effetti della norma introdotta, con particolare riferimento al sistema produttivo italiano, e valutare l’opportunità di prevedere meccanismi correttivi della disposizione in oggetto e aggiungere meccanismi di forte impulso allo sviluppo dell’economia digitale in un primo provvedimento utile.
La questione europea
Il problema dell’armonizzazione europea è sempre stata la spina nel fianco del provvedimento caro a Francesco Boccia. La tassazione, diciamola tutta, è ormai sparita nel mondo digitale: le grandi web company agiscono nel luogo de-territorializzato di Internet e il vecchio continente ha reazioni troppo lente. Eppure, esistono trattati, soprattutto quello sulla libertà di stabilimento dell’azienda, e percorsi, come quello appena adottato dal gruppo di lavoro europeo sul profit shifting, che hanno suggerito anche al centro studi della Camera, in sede di valutazione degli emendamenti prima che fossero votati, maggiore attenzione.
Il principio della webtax convincerà nel semestre europeo?
In queste settimane la webtax è stata al centro di molti salaci commenti “in punta di diritto”, su articoli di trattati europei degli anni ’50, o sulle procedure di notifica. Sottolineature provenienti talvolta dalle stesse aree che poi sull’Europa vorrebbero addirittura un referendum o l’uscita dalla moneta unica. Il principio sottostante le norme appena votate in Palamento è tuttavia molto importante e forse difficile da esporre in un clima di forte pregiudizio nei confronti della classe politica italiana, soprattutto se confrontato con la reputazione delle aziende coinvolte, simboli di successo, di servizi apprezzati da tutti, protagonisti di una Rete che per definizione si vuole libera. Ed è tutto giusto.
Eppure basterebbe considerare come stanno le cose: l’armonia fiscale in Europa non esiste, altrimenti non esisterebbe il double irish e il fatto che sulla partita iva ci sia il timbro europeo è questione di metodo: per l’azienda sempre di una partita iva si tratta, comunque verrebbe scaricata sul consumatore, così come viene scaricata quella di oggi, ma soltanto a proprio vantaggio. Con la differenza che nel secondo caso lo Stato italiano avrebbe una tracciabilità. Dunque perché paventare scenari catastrofici, del tutto improbabili, che vorrebbero Google e Facebook scappare dall’Italia, un mercato da 10 miliardi? Oppure la crisi delle aziende italiane? Un tempo, con l’industria materiale, si sarebbe potuto credere nell’abbassamento della tassazione come strumento di attrattiva, ma quando le tasse sono già zero quale leva può utilizzare l’interesse pubblico senza violare qualcosa di più importante di un trattato, cioè l’equità?
Più sensato, quindi, come suggerisce anche l’ordine del giorno, attendere l’occasione del semestre europeo, dove Letta e il governo, probabilmente, useranno la webtax – ammesso che sopravviva alla notifica – come strumento di persuasione o se non altro di dibattito attorno al ruolo che l’Europa deve finalmente avere rispetto al colossale potere economico di queste multinazionali. Con qualche legittima speranza di trovare sponde in paesi come la Francia. La webtax è forse impraticabile, o comunque difficile da far camminare, ma è un’idea, quasi una provocazione, che potrebbe dare la sveglia a organismi europei sonnolenti.