Se c’è un termine che nel 2013 è comparso ovunque questo è senza dubbio startup, la definizione di nuova impresa innovativa sulla quale si sono caricate tutte le aspettative di uscire dalle secche della crisi, e che rappresenta la scommessa più interessante di una politica nazionale in altre sedi ampiamente screditata.
Già, perché l’ecosistema startup italiano deve il proprio cammino iniziale anche al forte lavoro di indagine e analisi dell’allora ministro Corrado Passera, che girando in lungo e largo incubatori e parchi tecnologici nella primavera del 2012 e affidandosi a giovani e valenti dirigenti del Ministero come Stefano Firpo e Alessandro Fusacchia arrivò alla redazione di Restart Italia, il documento che ha di fatto installato il concetto di startup nel successivo Decreto Crescita 2.0 poi diventato legge 221 il giorno di Santa Lucia del 2012.
In questa legge si definisce la startup come «società di capitali di diritto, costituita anche in forma cooperativa che si occupa di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico», si garantiscono agevolazioni fiscali (l’ultima approvata pochi giorni fa) e una serie di esenzioni, nonché deroghe al diritto societario e una disciplina particolare nei rapporti di lavoro per abbattere gli oneri di avvio dell’impresa, e infine si stabiliscono i requisiti per accedere a questi vantaggi: la società deve avere meno di 4 anni di vita, sede in Italia, un bilancio inferiore a 5 milioni di euro, non distribuire utili, non essere frutto della scissione di un’altra società e deve avere almeno una fra le ultime tre prerogative: almeno il 15% di investimento in ricerca, un terzo della forza lavoro composta da dottorandi o dottori di ricerca, oppure essere titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto.
Il 2013 è stato il primo anno di vita di una disciplina organica sulle nuove imprese innovative, via via arricchita da regolamenti per dare garanzie all’intero sistema. E così, insieme alla legge che disponeva una sezione speciale – e gratuita – del registro delle imprese, nei mesi successivi arrivavano anche gli elenchi degli incubatori certificati e la prima legge al mondo sull’equity crowdfunding. Tutte componenti dell’ecosistema realizzate secondo lo schema (che Firpo ha definito hacking della pubblica amministrazione) benchmarking – consultazione pubblica – bozza – osservazioni – pubblicazione.
I numeri delle startup
Le statistiche sulle startup italiane sono facilmente recuperabili. Non solo c’è l’eccellente mappa di Italia Startup presentata in ottobre, ma il MISE propone sempre aggiornamenti sulla situazione, come mostra l’articolo di Mattia Corbetta che parte proprio dalle statistiche del Registro delle Imprese e dalla mappatura.
Saluto il 2013 con una fenomenologia delle #startup innovative e anticipazioni sui prossimi passi http://t.co/lNo1nUOCMy @startup_italia
— Mattia Corbetta (@CorbettaMattia) December 30, 2013
Attualmente ci sono 1478 startup innovative regolarmente registrate presso le camere di commercio, di cui 630 costituite nel 2013. La loro distribuzione geografica corrisponde abbastanza alle storiche peculiarità dei territori: il nord e la lombardia in particolare con 283 startup sono in testa come numero assoluto; se si considera la densità per abitanti prevalgono territori a vocazione come il trentino. Anche nei diversi settori si confermano i trend: gran parte delle startup si occupano di servizi, di consulenza, e sono startup digitali. La stragrande maggioranza di esse ha un valore di produzione compreso nella fascia sotto il milione di euro e ha meno di 4 addetti. Sta crescendo però il numero di startup che lavorano sull’hardware e sulle tecnologie (18%).
Un bilancio sull’ecosistema
Corbetta lo ha spiegato nel suo commento ai dati statistici: il 2013 è stato l’anno delle norme e della messa a punto dei meccanismi – fiscali, finanziari, burocratici – necessari ad un corretto funzionamento della policy.
Nel 2014 il Ministero dello Sviluppo economico si concentrerà sul raccordo e la creazione di legami tra le startup innovative e le PMI tradizionali.
La questione sta tutta qui. Le startup di successo, gli eventi, la crescita eccezionale e molto incoraggiante di piattaforme di crowdfunding, incubatori, ventures, programmi di seed, parchi tecnologici, spazi di coworking (i Talent Garden sono cresciuti, ad esempio, insieme alla legislazione sulle startup), il numero forse persino eccessivo di competition dimostra la vitalità del settore, ma l’ecosistema startup italiano non comporta la creazione di una startup nation. Come va dicendo da tempo Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup, è inutile e fuorviante fare paragoni con la Silicon Valley o Israele. Per quale ragione?
Molto è stato fatto nella costruzione delle premesse di un ecosistema: in Italia non mancano le risorse umane, si è proceduto a una maggiore sveltezza burocratica e l’ambiente è ben predisposto. Eppure reperire competenze, finanziamenti, partire alla pari con tedeschi e inglesi (al top in Europa) non fa parte del quotidiano di una startup italiana, come Webnews ha raccontato già tempo fa: la burocrazia, l’instabilità e mediocrità politica, una infrastruttura di Rete gravemente deficitaria, influenzano anche la vita delle startup. L’Europa, inoltre, ignora ogni armonia tra la libera circolazione dei servizi e i singoli regimi normativi e fiscali (ci si è accorti discutendo della famigerata webtax), creando le premesse di iniquità e concorrenze sleali spesso ai danni proprio dell’Italia, che storicamente è più restrittiva nella propria legislazione su molti aspetti di interesse per le startup: dalla sicurezza dei prodotti fino alla titolarità per i servizi di consulenza.
L’ultimo aspetto da considerare è la sfida del 2014: incrociare il made in Italy con le startup. L’artigianato di qualità, peculiarità assolutamente italiana, si sposa a fatica con la cultura inevitabilmente cosmopolita di una startup e c’è anche un problema di incontro generazionale. La prospettiva dell’ecosistema startup italiano potrebbe dunque portare a storie di eccellenza già note al mondo, ma rinnovate. Gli stessi incubatori se ne stanno accorgendo e oggi stimolano e accolgono più volentieri startup sul food, la moda, le nanotecnologie, il turismo. Settori nei quali si può innovare ciò che il sistema imprenditoriale italiano ha sempre saputo fare meglio degli altri, ma che oggi rappresenta a malapena il 2% di tutte le startup italiane.