Così come già annunciato, Apple ha deciso di rimborsare quelle famiglie inciampate nello scandalo degli acquisti in-app su App Store: i figli, del tutto ignari del reale funzionamento di videogiochi e altri servizi, hanno speso migliaia di euro in funzioni aggiuntive per le loro applicazioni. Saranno 32 i milioni di dollari che Cupertino è disposta a rimborsare, su suggerimento della FTC, ma è davvero tutta colpa della mela morsicata?
A tentare di rispondere a questa domanda ci pensa il Guardian, con una lunghissima disamina delle responsabilità. E le colpe per gli incauti acquisti naturalmente non ricadrebbero soltanto su Cupertino, bensì anche sui genitori e gli stessi developer. Quel che Apple sta per fare, ovvero rimborsare somme ingenti di denaro pagandole di tasca propria e senza rivalersi sugli sviluppatori, appare quindi come una sorta di favore. O, da un altro punto di vista, come una prova di correttezza da sfruttare sapientemente sui media.
Si parta proprio da Apple: la sua posizione in questa vicenda è scomoda perché, pur non essendo direttamente responsabile né delle decisioni dei developer né tantomeno della gestione dei bambini da parte dei genitori, non ha provveduto tempestivamente con una comunicazione esaustiva. Solo dopo l’emersione dello scandalo – ovvero quando centinaia di famiglie si sono ritrovate con l’accredito di ingenti somme sulla carta di credito – la Mela è passata attivamente all’azione. Ha introdotto nuove indicazioni su iTunes e App Store per sottolineare come certi software prevedano l’acquisto in-app e ha reso più stringente l’uso delle password, affinché vengano richieste a ogni tentativo di vendita.
Non sono però esenti i developer. Senza voler citare nessun episodio in particolare perché l’universo di App Store è composto per la gran parte di sviluppatori leali, non si può dire che non esista chi ne ha approfittato. Molti videogiochi dedicati ai più piccoli, infatti, inducono di continuo all’acquisto di funzioni aggiuntive – per comprare nuovi accessori a un cucciolo virtuale, per superare facilmente un livello complesso, per accedere a sezioni speciali del gameplay – e il bambino, poco in grado di comprendere cosa stia facendo, acconsente di continuo alla compravendita.
Non sono da meno i genitori, forse coloro su cui pesano le maggiori responsabilità, ma anche l’ovvia presunzione di innocenza. È impensabile consegnare un iPhone o un iPad nelle mani di un minore, magari di tenerissima età, senza che vi sia un’adeguata supervisione. È vero: in App Store non vi sono contenuti hard, il rispetto per i più piccoli da parte di Apple è degno d’elogio. Ma è anche vero come una funzione legittima come gli acquisti in-app, più che gestibili da un adulto, non possa essere limitata solamente perché il genitore non ha il tempo, o il desiderio, di occuparsi adeguatamente del proprio pargolo. Con iOS 7 è ora possibile bloccare di default tali acquisti, per la sicurezza di tutti. Ma passare un’ora davanti al tablet in compagnia del bambino, per istruirlo alla responsabilità durante il gioco, non è forse meglio che abbandonarlo sul divano solo con un iPhone?