Oggi sono stati violati gli account Twitter di Paola Taverna e di Alessandra Moretti, due deputate molto in vista dei relativi partiti. Qualcuno già parla di attacco alle idee di questi partiti – Grillo aveva già tuonato al riguardo – ma forse il discorso è più ampio: la Rete italiana è diventata un luogo di guerriglia politica, di livello spesso infimo, dove non ci si ferma più davanti a nulla. Questo con il concorso di tutti.
Il discorso parte da lontano, ma neppure troppo. Parte dai giorni, difficilissimi, dello scontro all’arma bianca tra il M5S e la presidente della Camera Laura Boldrini. Giorni nei quali il dibattito attorno a quale fosse il confine tra la libertà di espressione e la pura tattica parlamentare (cioè l’ostruzionismo) – argomento interessante ma tutto sommato tecnico – è stato lasciato in disparte per diventare una gara all’insulto.
In tutto questo, ha avuto un ruolo determinante l’uso mainstream di un tool come LetMeTweetForYou che consente di creare cinguettii falsi, per riprodurre pensieri di politici e persone note da ributtare nel flame, alimentandolo. Questa tecnica si è incrociata con brutti episodi, come quello che ha visto protagonista Claudio Messora, comunicatore dei cinquestelle, e tutta la narrazione mediatica che vi si è incardinata dopo le parole della Boldrini alla trasmissione “Che tempo che fa”.
Non era mia intenzione offendere @lauraboldrini. Se a causa di una mia battuta è accaduto, me ne scuso. Ora torniamo a parlare di contenuti.
— Byoblu (@byoblu) February 3, 2014
Il salto di qualità
La sensazione è che stavolta tutto quanto successo la scorsa settimana abbia lasciato dei segni, che non bastano soltanto delle scuse mosse dalla stessa pavidità che ha prodotto quelle oscenità, fisiche e verbali. Così, il commento di Paola Taverna sul blog di Grillo, che parla di persone intenzionate a «fermare il Movimento» forse non centrano il bersaglio. La questione sembra essere piuttosto che il dibattito politico italiano è surreale, già da qualche tempo, e la surrealtà trova conforto nell’iperrealtà, cioè nella Rete. Come dice giustamente Fabio Chiusi, oggi su Facebook:
Se ci fosse stata una volontà di creare caos politico gli hacker avrebbero probabilmente scritto dei tweet “plausibili”, non palesemente fasulli e a loro modo goliardici. Nessun dotato di senno prenderebbe sul serio quello scambio. Mentre invece avremmo potuto prenderne sul serio molti altri, artefatti con secondi fini politici: e avremmo potuto assistere all’ennesimo cortocircuito mediatico in cui a un certo punto non si capisce nemmeno più quale sia la (non) notizia, ma si discute comunque.
Senza riscontro è scontro
I social, Twitter in particolare, sono diventati media imprescindibili per il dibattito politico, in tutto il mondo. Però bisogna ammetterlo: la storica litigiosità e partigianeria del dibattito in Italia si è riversata in Rete con tutto il suo portato di banalizzazione, di polarizzazione e di incredibile capacità di mettere in secondo piano i fatti ed esaltare i commenti, anche i più avulsi, anche i più improbabili. I fake, le bufale che continuano a girare in Rete anche per mesi (l’ultima è quella sulla storia dell’arte nelle scuole) e ora anche alcune forme di hacktivism esplicite (per ora), costituiscono una ragione in più per non dare quel credito in bianco che molti si ostinano a dare alle informazioni nella Rete. Altrimenti il rischio è davvero quello di una situazione tragicomica alla Dottor Stranamore.