Google vs Mediaset: 2-0 in Spagna, in attesa di iniziare la partita nel nostro paese. Dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio grazie alla vittoria in primo grado, Google chiude con una ulteriore vittoria il secondo tempo contro Telecinco. Partita chiusa, e la cosa è di vitale importanza anche per quanto andrà a succedere al cospetto della giurisprudenza italiana.
Google vs Mediaset in Spagna
23 settembre 2010, la prima vittoria: le accuse di Telecinco contro Google decadono di fronte a una sentenza che afferma appieno la linea della difesa, tale per cui «è responsabilità del soggetto titolare dei diritti – e non di YouTube – identificare e segnalare a YouTube la presenza sulla piattaforma di contenuti protetti». Telecinco (di proprietà di Mediaset Espana Comunicaciòn S.A., il cui azionista di controllo è l’italiana Mediaset) intendeva invece affermare principio contrario, ossia che il titolare del diritto può far valere la propria rivalsa e può imporre oneri di controllo ai service provider in eventuale violazione.
Questa sentenza conferma la normativa europea, secondo la quale i titolari dei diritti (e non i fornitori di servizi come YouTube) sono nella posizione migliore per sapere se la presenza di un contenuto specifico su una piattaforma di hosting sia legittima o meno, e impone a siti come YouTube la responsabilità di rimuovere contenuti non autorizzati solamente a seguito di notifica da parte del detentore dei diritti.
Negli stessi giorni in cui Google vince la vertenza legale contro Vividown, medesimo principio garantisce la stessa Google anche dalle ambizioni Mediaset: un service provider non può essere considerato in difetto se non è al corrente di eventuali violazioni, ma al tempo stesso deve disporre delle risorse necessarie per segnalare le violazioni stesse prima di rimuoverle in tempo ragionevole. Lo strumento utilizzato da Google è noto e si chiama Content ID: consente ai “partner” di monetizzare la presenza dei propri contenuti sul servizio e, al tempo stesso, apre a un tool di monitoraggio automatizzato che esclude le violazioni trasformandole in denaro. Una opportunità in cambio di un rischio, insomma, che il giudice spagnolo ha considerato più che sufficiente a coprire le finalità preposte.
L’appello non ha fatto altro che riaffermare i principi già espressi dalla sentenza di primo grado: il giudice ha fatto appello alla Direttiva 2000/31/EC (Direttiva sul Commercio Elettronico) ed ha respinto uno ad uno i capi d’accusa contro YouTube, chiudendo definitivamente le porte alle speranze dei legali Mediaset.
Google vs Mediaset in Italia
Il fronte italiano rimane però ancora aperto. Da 5 anni ormai le parti si stanno scontrando sulla questione e, sebbene una sentenza di primo grado non sia ancora stata pronunciata, Mediaset ha vinto alcuni ricorsi (2009 e 2010) ottenendo la rimozione di alcuni filmati relativi in particolare alla decima edizione del Grande Fratello. In quel caso Mediaset festeggiava la vittoria facendone un esempio generale di approccio alla vicenda, Google confinava invece il tutto ad un caso specifico non estendibile a regola generale. Commentava Mediaset nel 2010 a seguito del successo ottenuto alla richiesta di rimozione degli streaming in violazione:
L’ordinanza odierna ribadisce infatti che anche i siti come Youtube devono rispondere alle consuete regole commerciali: contrariamente a quanto avveniva finora, da oggi solo chi investe in contenuti ha il diritto di sfruttarli economicamente anche online attraverso la raccolta pubblicitaria o altre fonti di ricavo. Ne consegue, e l’ordinanza lo stabilisce espressamente, che gli oneri tecnologici per ottenere il rispetto di tale diritto non possono essere a carico di chi ne è titolare. Da oggi si apre quindi una nuova era per tutti gli editori italiani che potranno stringere rapporti economici con gli operatori internet, ognuno nel rispettivo ruolo, sulla base di un nuovo contesto di regole chiare e definite
Il teorema Mediaset è tale per cui YouTube non possa essere considerato semplicemente un service provider, ma un vero e proprio editore con obblighi e normative specifiche a cui obbedire. Il programma Content ID aveva però dalla sua già oltre 1000 partner e nel frattempo in Spagna la giurisprudenza si è espressa con estrema chiarezza. Se l’ispirazione è la medesima, ossia la Direttiva Europea sul Commercio Elettronico, come può l’Italia deviare dall’alveo in un caso del tutto simile a quello iberico?