Lo streaming è ormai una realtà quotidiana per moltissimi utenti: tra serie TV e prodotti cinematografici, la tecnologia ha rimpiazzato gli ormai obsoleti noleggi su supporto ottico e anche il download di file, ormai non più necessario. Accanto ai servizi legali, spopolano però i portali di streaming illecito, dove i contenuti vengono proposti da terzi – spesso uploader domestici – pur non essendo in possesso dei relativi diritti di copyright. Negli Stati Uniti si stanno valutando delle pene più severe per contenere il fenomeno e, come spesso capita, non è detto che l’Europa non faccia altrettanto. La visione di un film sul computer diventerà presto un reato grave?
La fruizione di materiali in streaming da portali illegali rappresenta, per molte nazioni, una vera e propria zona grigia della legge. Con qualche variante a seconda del paese, a commettere un reato è chi condivide sulle piattaforme questi materiali, mentre chi li consuma sfocia tuttalpiù nell’illecito amministrativo, dove previsto. Questo perché la legge non è ovviamente riuscita a stare al passo delle innovazioni tecnologiche: gran parte delle normative mondiali sulla pirateria, infatti, fanno leva sui concetti di upload e download, due temi che alla fruizione real time si affacciano solo marginalmente. Di conseguenza, vi è il potere di identificare e bloccare i siti che offrono materiali illeciti, così come gli uploader, ma per il pubblico non vi sarebbero molte possibilità d’azione. Almeno fino a oggi. Il Dipartimento di Giustizia (DOJ) statunitense, infatti, la scorsa settimana ha proposto di trasformare la fruizione da “misdemeanor” (illecito) in “felony” (reato). La differenza non è solo lessicale: mentre nel primo caso la sanzione è normalmente pecuniaria, quindi una multa, nel secondo si potrebbero anche spalancare le porte del carcere.
Questa trasformazione era già stata richiesta nel 2012 con l’affacciarsi nell’universo digitale di SOPA e PIPA, le controverse normative poi abbandonate per l’accesissima reazione di pubblico, provider e molti altri soggetti coinvolti. Torna però due anni dopo, così come il portavoce David Bitkower spiega, come proposta avanzata all’amministrazione Obama:
«Una nuova sfida ai proprietari del copyright e alla giurisprudenza deriva dalla crescita dello streaming come mezzo dominante per disseminare molti tipi di materiali protetti online. Questa attività deriva dalla tecnologia avanzata: in questo caso, l’aumento della disponibilità di connessioni veloci per l’utente medio. […] Questa amministrazione raccomanda che il Congresso rettifichi le leggi per creare un reato per lo streaming Internet non autorizzato. Nello specifico, raccomandiamo la creazione di una legge che stabilisca un reato per violazione del copyright attraverso performance pubbliche non autorizzate per vantaggio commerciale o guadagno economico privato.»
Difficile stabilire a priori cosa ricada in questa definizione, poiché l’utente domestico – pur non pagando per il contenuto fruito – non ha un guadagno economico diretto dalla visione di un film in streaming. Inoltre non è ben chiaro se si riferisca a chi questi contenuti li rende disponibili o ai fruitori nel loro complesso, teoricamente inclusi: il fatto che l’utente non abbia speso denaro per il noleggio di un DVD o per l’acquisto di un abbonamento online, infatti, lo rende potenzialmente incriminabile. Appare evidente come una simile definizione andrà soprattutto a colpire gli uploader e più raramente gli utenti finali, data l’enorme grandezza della popolazione di riferimento, ma Oltreoceano non sono nuovi a casi esemplari. Se una simile riforma andrà in porto l’Europa rimarrà a guardare?