Non manifestamente infondati dubbi di costituzionalità. Così si potrebbe intitolare un riassunto stringato della sentenza del Tar del Lazio che ha, di fatto, messo in dubbio la legittimità del regolamento Agcom sul copyright e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Il regolamento dunque non è sospeso – mentre lo è il giudizio – ma questo documento rappresenta una prima importante vittoria del fronte legale e associativo che ha sempre criticato lo strumento dell’authority per la violazione del diritto d’autore.
Le procedure attuative, il fondamento legale di queste, hanno sempre destato molte perplessità in chi vedeva nel Regolamento Agcom un testo che finiva per invertire l’onere della prova, caricare gli Isp di responsabilità ingiuste, e in sostanza non incidere nella pirateria degli audiovisivi. Gli interventi dell’autorità in materia, infatti, sono scarsi, spesso non pubblicati perché non si arriva al procedimento, dato che si provvede volontariamente alla cancellazione del contenuto, e gran parte delle segnalazioni arrivate all’Agcom riguardano contestazioni di diritto d’autore per l’uso di fotografie nei siti e altre amenità, come schede di lettura scolastiche e video riprodotti sulle testate nazionali, che aprono a dibattiti pericolosi sul diritto di cronaca. Ad oggi, dal 31 marzo, una settantina di provvedimenti, di cui una metà archiviati e molti adeguamenti “spontanei”.
Insomma, il TAR arriva oggi con un testo che evidenzia possibili debolezze nelle premesse del regolamento, che concedono al garante una funzione quasi da pubblico ministero, ma se ci si attenesse anche solo alla sua concreta applicazione ci sarebbe molto da ridire e da rivedere. Questo il passaggio della sentenza subito reso pubblico da Fulvio Sarzana, estensore di uno dei due ricorsi in oggetto (l’altro è Guido Scorza):
Il Collegio ritiene necessario sottoporre alla Corte Costituzionale la seguente questione incidentale di legittimità costituzionale, rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, ovvero ai fini della eventuale declaratoria di illegittimità del regolamento dell’AGCom impugnato con il ricorso in epigrafe e del suo conseguente annullamento in sede giurisdizionale, volta ad ottenere una pronuncia pregiudiziale circa la possibile illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, e degli artt. 14, comma 3. 15, comma 2, e 16, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, nonché del comma 3 dell’art. 32 bis del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici approvato con decreto legislativo n. 117 dei 2005, come introdotto dall’art. 6 del decreto legislativo n. 44 del 2010, sulla cui base è stata adottata la impugnata “Delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013” recante il “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative” e l’ “Allegato A” alla predetta Delibera, per la violazione dei principi di riserva di legge e di tutela giurisdizionale in relazione all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e di iniziativa economica, sanciti dagli articoli 2, 21, I comma, 24 e 41 della Costituzione, nonché per la violazione dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa e per la violazione del principio del giudice naturale, in relazione alla mancata previsione di garanzie e di tutele giurisdizionali per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno equivalenti a quelle sancite per la stampa, con la conseguente violazione degli articoli 21, commi 2 e seguenti, 24 e 25, comma 1, della Costituzione.
I punti dolenti
Come si nota nella sentenza, il dubbio riguarda l’applicazione del regolamento secondo la deroga della direttiva europea sui servizi della società dell’informazione, dove è previsto che la libera circolazione di un determinato servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro possa essere limitata, con provvedimento dell’autorità giudiziaria o degli organi amministrativi di vigilanza o delle autorità indipendenti di settore, al quale si accompagna il famoso Mere conduit, per il quale il prestatore di servizio, colui che consente l’accesso alla rete di comunicazione, non è responsabile delle informazioni trasmesse quando non ne dà origine né le modifica (e qui il riferimento ovvio del ricorrente è agli Isp). Ma la sentenza è più pesante nella citazione di ben tre articoli della Costituzione, tra i quali i più rilevanti sulla libertà di espressione e azione: il 21, che prevede si possa porre un sequestro solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, il 24 che attribuisce a ogni cittadino il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi e il 41 sulla libertà economica.
Avevamo tutti contro tranne Dio e la Costituzione! #agcom #cortecostituzionale #dirittodautore
— Fulvio Sarzana (@fulviosarzana) September 26, 2014
Altroconsumo esulta
L’associazione dei consumatori è sempre stata in prima linea contro il regolamento, così è naturale che oggi sia tra i primi ad esultare per questo primo riconoscimento:
Il Regolamento AGCOM, gravemente viziato sotto molteplici aspetti nonostante una genesi e un dibattito durati più di tre anni, mancava peraltro della legittimazione piena a intervenire in materia di diritto d’autore, data la legislazione vigente. Ora, in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci cancellando definitivamente questo obbrobrio giuridico partorito da AGCOM, il Parlamento torni a esercitare le sue prerogative in una materia – come quella della libertà d’espressione in Internet – che assume sempre più una importanza cruciale per la nostra Democrazia.
L’invito non è certo peregrino, tanto che Stefano Quintarelli ha già fatto notare sommessamente di aver depositato da tempo una proposta di legge che andrebbe a correggere i problemi del regolamento. E con lo spirito che gli appartiene, si augura «scontenti un po’ tutti».