Apple potrebbe essere costretta a rivedere alla radice la propria posizione con il fisco europeo. Sembra poter essere questa la conclusione di una vicenda iniziata anni or sono, passata in Italia attraverso l’ipotesi di una tassa nazionale che colpisse Google e altre multinazionali e destinata a finire con una iniziativa transnazionale di cui Apple sarà il terminale ultimo. La rivelazione giunge dal Financial Times, ove sarebbe stato lo stesso Luca Maestri (direttore finanziario Apple) ad ammettere che un punto di rottura potrebbe costringere Cupertino a cambiar rotta.
Che la situazione fosse ormai accettata con sempre maggiori difficoltà in Europa era cosa conclamata da tempo: in un momento in cui le casse degli stati piangono miseria, non può più essere tollerato il meccanismo che consente a grandi aziende di eludere le tasse sul vecchio continente passando per il “paradiso fiscale” dell’Irlanda. Perché se di vero paradiso fiscale non si tratta, poco di manca: una tassazione ridotta per le corporation, unita a possibili accordi speciali di cui finora si era negata l’esistenza, avrebbe trasformato Cork nella capitale dei capitali in fuga, ove i grandi gruppi creano profondi buchi neri attraverso cui gli utili viaggiano al netto dei regimi di tassazione propri di qualsiasi altra azienda. Il meccanismo prende il nome di “double-Irish” e, pur essendo noto da tempo, l’UE non ha ancora mai avuto la forza di arrestarne l’incedere.
Fin qui era tutto regolare: di elusione, e non di evasione, si parlava per descrivere la capacità delle grandi aziende di sfuggire al fisco europeo sfruttando semplicemente le maglie larghe di una politica finanziaria pensata ad arte per attrarre (con non si sa bene quali vantaggi) capitali esteri. Ora l’ipotesi è quella per cui, oltre all’elusione, ci sarebbero stati aiuti di stato che tanto Apple quanto l’Irlanda andranno a negare. Nulla di ufficiale, ma l’anticipazione suona immediatamente l’allarme: l’indagine avrebbe tolto il coperchio al sistema partendo dal cuore dello stesso, l’Irlanda, e aprendo pertanto a interventi (eventualmente sanzioni) di grande impatto.
Apple non sarebbe l’unica vittima delle indagini della Commissione Europea: Starbucks e Fiat avrebbero sfruttato meccanismi simili, con l’industria che fu di Torino nel mirino già a pochi mesi dallo spostamento della sede in Olanda.
Le notizie in arrivo da Bruxelles fanno il paio con le raccomandazioni espresse nei giorni scorsi dalla Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD), il cui segretario generale Angel Gurría ha rivelato 7 punti programmatici per spegnere i meccanismi di elusione fiscale internazionale. Nei fatti è questa la risposta transnazionale a quel che volevano smuovere le singole Google Tax nazionali (tasse che vari paesi, Italia compresa, volevano porre in essere nel recente passato per contrastare un fenomeno internazionale di grave ricaduta sul fisco).
Solo una azione internazionale contro il meccanismo dei paradisi fiscali può debellare il fenomeno, mentre qualsiasi azione nazionale non può che spegnersi in una naturale e sterile inefficacia. Il primo passo potrebbe essere nella conclusione dell’indagine , una sorta di frattura che andrebbe a rompere con il passato per aprire la strada a un nuovo periodo e a nuovi equilibri.
Luca Maestri, direttore finanziario di Apple, ha difeso il gruppo sul Financial Times negando che l’azienda abbia mai minacciato il governo irlandese di spostare la sede in caso non avesse garantito un trattamento fiscale privilegiato, una delle accuse più pesanti dell’indagine europea:
Il nostro accordo si è basato su una discussione molto tipica che ogni azienda ha con qualsiasi autorità sovrana. Non abbiamo mai nascosto nulla.Se i paesi cambiano le leggi fiscali, ci atterremo alle nuove leggi e pagheremo le tasse secondo quelle leggi.
Apple si appresta a confutare le accuse della commissione europea con due argomenti principali. Il primo mette in discussione il tentativo della commissione di applicare retroattivamente le linee guida internazionali sulla tassazione delle filiali delle multinazionali: le regole dell’OCSE sono in vigore dal 2010 e devono ancora essere adottate dall’Irlanda. Secondariamente, la mela morsicata spera di riuscire a dimostrare che le sue fatture sono conformi ai profitti attribuibili alle sue controllate irlandesi e in un range di profitto simile per società comparabili.
In ogni caso, la posta in gioco è enorme: se la commissione costringerà l’Irlanda a riconsiderare 10 anni di tassazione, le cifre sono enormi, dell’ordine dei miliardi. Sembrerebbe illogico lamentarsene, ma bisogna ragionare diversamente, pensando all’interesse di altri paesi come Francia e Germania, perché da un lato potrebbero rivedere le proprie aliquote fiscali, spingere per una loro armonizzazione, e dall’altro guadagnare eventuali trasferimenti dell’azienda, scontenta del nuovo trattamento fiscale imposto in Irlanda. Maestri però ha smentito questo scenario: qualunque cosa accada la Apple resterà in Irlanda.
Siamo stati in Irlanda nei momenti difficili e durante i momenti d’oro.Nel corso degli anni siamo cresciuti e siamo diventati più grande datore di lavoro della città di Cork. Rappresentiamo un contributo molto importante per l’economia irlandese e continueremo ad esserlo.