L’analisi e la visualizzazione dei dati possono migliorare il lavoro dei governi, quello degli attivisti e le ong, sostenere campagne giornalistiche in grado di cambiare davvero la sensibilità dell’opinione pubblica. I dati salveranno il mondo? Dall’Internet Festival di Pisa sono emerse alcune testimonianze che possono essere di ispirazione per il futuro.
Al panel “il potere dei dati al servizio dell’umanità” hanno partecipato, sabato a Pisa, alcuni nomi tanto interessanti quanto diversi fra loro. La giornalista Emma Lupano ha raccontato le incredibili storie della censura cinese e di come giornalisti e attivisti adoperino la confusione orto-fonica della lingua cinese per far passare dei messaggi allegorici dalle maglie della censura. Simbologie netizen impossibili da comprendere per gli occidentali – ad esempio strane creature mitologiche inventate su Baidu, o pagine di giornale dedicate a zuppe dagli effetti miracolosi per ristabilire armonia e quiete – senza il lavoro di mediazione culturale di giornalisti esperti sinologi.
Aria pesante per gli intellettuali pubblici (e i freelance) in Cina: da 公共知识分子 a 公知 – http://t.co/6LnHtB6WsB
— emma lupano (@lupemma) October 13, 2014
Un esempio invece tutto europeo è quello che ha portato alla creazione del database The Migrants Files, un meraviglioso esempio di lavoro giornalistico sui dati che ha portato questa primavera alla pubblicazione in contemporanea su 6 testate europee del primo studio che ha stimato il numero di morti nel mar Mediterraneo dal 2000 ad oggi. Numeri impressionanti, che sono valsi al team (di cui fa parte il co-fondatore di Datamedia Hub e di Dataninja, Alessio Cimarelli) il Datajournalism Award 2014, ma soprattutto hanno il merito di aver fornito una base solida a tutte le riflessioni possibili da qui in avanti sui programmi Mare Nostrum o Frontex. Senza ideologie, ma solo fatti.
I dati sono utili anche per realizzare progetti di sviluppo più efficaci, come ha raccontato Linet Nyangau Kwamboka, arrivata in Toscana dal suo Kenya per illustrare datascience.co.ke una piattaforma che monitora le politiche governative e ha un approccio che sostiene patrocini privati per raggiungere determinati obiettivi tramite gli open data.
Tornando in Italia, bello l’esempio della Stampa di Torino, che ha implementato la sezione Follow The Money nella sezione datajournalism del suo Medialab. Quanti lo conoscono? Invece è un ottimo esempio di collezione di reportage specifici, aggiornati. Il tema è molto interessante: cercare di capire che fine fanno gli aiuti allo sviluppo dell’Italia verso alcuni paesi del mondo. In altri termini, come vengono spesi i soldi degli italiani nella cooperazione sostenuta dalla Farnesina. Emanuele Bompan ha raccontato l’utilità di questi strumenti spiegando anche come ogni dato, per quanto matematico, è sempre anche “politico” perché ogni trattamento del dato è umanamente impresso. Questo non significa che non ci sia una certa oggettività, ma il data journalism contribuisce a fare più chiarezza senza per questo sostituirsi a tutto il resto.
Mario Tedeschini Lalli, dall’alto della sua esperienza e formazione – che gli consente anche la docenza oltreoceano ed esperienze e osservazioni in tutto il mondo – ha rassicurato la platea. Con fatica, gradualmente, anche in Italia si sta facendo avanti il giornalismo dei dati:
La realtà sta mutando anche in Italia, la professione del data driven journalist sarà sempre più importante. Il giornalismo mainstream ha colto questo aspetto, il suo metodo. Anche perché è utile a tutti, giornalismo ed enti, i servizi informativi possono così sommarsi per unire le forze disponibili dirette ai cittadini.
La morale del festival sui dati
Antonella Napolitano modera panel sul Potere dei Dati @svaroschi #IF2014 #bigdata pic.twitter.com/7mfm0hp2kx
— Marco Viviani (@VivianiMarco) October 11, 2014
Lo ha ben introdotto una specialista come Antonella Napolitano, ma lo aveva già anticipato ai microfoni di Webnews il direttore dell’Internet Festival Claudio Giua: i dati sono la materia prima dell’innovazione. Possono essere sottratti illecitamente, usati male, oppure possono cambiare il giornalismo, le politiche di welfare, migliorare la vita quotidiana. Dipende dall’uso che se ne fa.
Quello che sta emergendo chiaramente in questi anni è che la materia prima dell’innovazione sono i dati. Dati che vengono prodotti continuamente da ciascuno di noi con la propria attività, andando a un bancomat, facendo la spesa, guardando la televisione, riempiendo un formulario di qualsiasi genere. Lasciamo un’enorme quantità di dati alle nostre spalle. Quello che sta succedendo è che questa materia è diventata il corrispettivo di quel che è stato il carbone nella prima rivoluzione industriale.