Arriva subito dopo i principi generali sul riconoscimento dei diritti e introduce ciò che forse molti non si aspetterebbero: l’accesso. Il diritto all’accesso è l’argomento del secondo articolo della Dichiarazione dei diritti e doveri in Internet, quello più alto dal punto di vista degli scopi che si prefigge: azzerare le disuguaglianze nella Rete, quelle tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra chi ha alte conoscenze degli strumenti e le loro regole e chi non ne ha, tra chi è normodotato e chi ha una disabilità.
Siamo il paese con una delle Costituzioni più belle mai scritte sui principi fondamentali. I primi articoli sono un capolavoro, ancora oggi celebrato, di un paese all’epoca distrutto dalla guerra che voleva risollevarsi dalla cenere della dittatura con uno slancio di infinito. È con l’articolo 3 della Carta del ’48 che il nuovo patto sociale veniva siglato dall’uguaglianza. Recita così:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La Commissione che ha lavorato alla bozza è rimasta nel solco e ha scritto nell’articolo 2 una sorta di corrispettivo digitale di quei concetti. L’inizio sembra quasi ricalcarlo alla lettera:
Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda sistemi operativi, software e applicazioni. L’effettiva tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per il superamento di ogni forma di divario digitale – culturale, infrastrutturale, economico – con particolare riferimento all’accessibilità delle persone con disabilità.
Internet è una dimensione dell’esistenza, il nuovo patto sociale che contempla questa realtà definisce il diritto di accedere a Internet secondo criteri di uguaglianza e aggiunge una nota sugli interventi pubblici per superare ogni forma di divario. Dall’alto dei principi, si scende agli scopi, quindi – almeno potenzialmente – agli obiettivi dello Stato.
Intervista ad Antonio Palmieri
Antonio Palmieri, membro della commissione, promotore della legge Stanca del 2004 (all’epoca una legge piuttosto innovativa sulla tematica dell’accessibilità, purtroppo mai totalmente applicata), si è sempre riferito a quei principi – oggi in capo anche all’Agid, per esempio – di accessibilità dell’ICT come forma di rispetto e di coinvolgimento della cittadinanza nell’era della conoscenza digitale.
Onorevole Palmieri, l’articolo 2 è anche una sua vittoria?
Abbiamo lavorato tutti assieme. Fin dalla prima riunione abbiamo condiviso i nostri punti di vista e siamo arrivati, ognuno dando il suo contributo, a questa bozza che viene definita come la prima, anche se in realtà è la terza, la più aggiornata. Ciò non può che far piacere a chi come me segue il tema dell’accessibilità dal 2002.
Quel che balza all’occhio di questo articolo è che amplia molto il concetto. Non si parla di accessibilità soltanto come problema di connettività, ma sostiene che si tratta di un presupposto sostanziale per l’effettiva tutela del diritto dei cittadini…
Proprio così. E sa perché? Un sito accessibile consente ai cittadini disabili di vivere con più dignità e libertà ed è un vantaggio per tutti perché è un sito più usabile. Questo è un diritto da garantire, almeno per i siti della pubblica amministrazione. Il punto è che media, cittadini, associazioni, non esigono questo diritto, manca la sanzione sociale e politica verso chi non rispetta questi criteri. Un problema culturale, che la Dichiarazione in questo articolo mette in primo piano.
Diritto all’accesso come strumento di cultura digitale diffusa?
Dopo quello che riguarda l’accessibilità, il divario culturale è a mio avviso il primo da colmare, quasi preliminare a tutti gli altri, compreso quello infrastrutturale.
Si sta discutendo molto dell’ambizione sovranazionale di questo documento. Secondo i detrattori, che l’Italia pretenda di spiegare al mondo cosa fare con Internet – senza aver prima applicato da sé questi principi – è una perdita di tempo quando non peggio. Cosa risponde?
La Commissione ha condiviso l’obiettivo della presidente Boldrini di rispettare i tempi e pubblicare la bozza in occasione di un evento collegato al semestre di conduzione europea. Dunque, questo è un momento di ascolto dall’Europa verso l’Italia. Se avessimo una Europa Unita, in tutto, probabilmente non saremmo nelle tristi condizioni generali in cui siamo e non ci sarebbe certo bisogno di produrre questi documenti, che peraltro non ci vedono isolati: anche Londra, Berlino, Parigi, hanno fatto o stanno facendo lo stesso. Per ora, L’Europa è questo, è un dato di realtà che secondo me ogni tanto viene dimenticato. Questo non significa che non si possa arrivare, con questa Dichiarazione, a livelli continentali. Conto sul fatto che la sua grande sintesi e il fatto che suggerisce principi fondamentali aiutino la Dichiarazione a fare strada in Europa. È nata per questo.