Tra Spotify e Taylor Swift è giunto il momento della resa dei conti. Dopo giorni di tentativi vani di ricongiungimento, dichiarazioni pubbliche in cui la cantante avrebbe sostenuto di non sentirsi sufficientemente ricompensata dal servizio e polveroni vari sollevati dai competitor, l’amministratore delegato Daniel Ek ha deciso di rispondere alla popstar. E lo fa con i numeri, quelli di 2 miliardi in royalties già versati agli artisti.
Nonostante in passato siano stati diversi gli artisti ad avanzare dubbi sulla portata di Spotify, è servita Taylor Swift per portare la questione al centro del dibattito pubblico, anche se la querelle sembra assumere dei contorni forse estenuanti. Dopo l’ennesima tornata di dichiarazioni e lamentele, a cui ieri si è aggiunta Rdio in difesa della cantante, Spotify passa al contrattacco. Così spiega Daniel Ek:
Quincy Jones ha scritto su Facebook che “Spotify non è il nemico, la pirateria è il nemico”. Sapete perché? Due numeri: zero e due miliardi. La pirateria non versa agli artisti nemmeno un centesimo: niente, nulla, zero. Spotify ha pagato più di 2 miliardi di dollari alle etichette, agli editori e alle società di raccolta per la distribuzione di autori e artisti. Un miliardo di dollari dall’inizio di Spotify nel 2008 allo scorso anno, e un altro miliardo da allora. E questi sono due miliardi di dollari in ascolti che avrebbero portato zero compensazione agli artisti dalla pirateria.
Non è però tutto, poiché se tale cifra non è arrivata nelle tasche degli artisti, così come gli stessi spesso lamentano, il problema sarebbe da ricercarsi altrove:
Abbiamo fondato Spotify perché amiamo la musica e la pirateria la stava uccidendo. Tutti i discorsi che vorticosamente accusano Spotify di far soldi alle spalle degli artisti, quindi, davvero mi sconvolgono. […] Molti dei problemi che hanno afflitto l’industria dal suo inizio continuano a esistere. Come ho già ricordato, abbiamo già versato più di 2 miliardi di dollari in royalties all’industria musicale: se quel denaro non sta confluendo in modo trasparente alla comunità creativa, è quello il grande problema.
Spotify consegna il 70% delle sue entrate ai detentori dei diritti, in un modello ormai classico di revenue sharing, così come l’universo del software e delle app ha insegnato. Secondo alcune stime del Washington Post, il catalogo di Taylor Swift ha le potenzialità per raggiungere i 6 milioni di dollari in ricompense dallo streaming, anche se la società sembra ammettere come il sistema tenda a premiare più gli artisti di grande successo che le produzioni di nicchia.
Ek conclude sottolineando come negli ultimi sei mesi il servizio abbia conquistato altri 2,5 milioni di abbonati, portando il totale degli utenti paganti a 12,5 milioni contro i 50 milioni totali di iscritti. La demografica di tali sottoscrittori, inoltre, è particolarmente interessante e sembra da sola sconfessare le accuse della discografia e della stessa popstar statunitense. L’80% è infatti sotto i 30 anni, una generazione cresciuta e abituata a non pagare per la propria musica:
La maggioranza degli utenti paganti è sotto i 27 anni d’età: sono fan che sono cresciuti con la pirateria, di cui non si sarebbe mai aspettato pagassero per la musica.
Lo scopo di questo intervento è abbastanza chiaro e, questione non da poco, sposta l’ago della bilancia dalle responsabilità di Spotify a quelle di soggetti terzi: è lo streaming a non essere sufficientemente remunerativo o è l’industria musicale a non ricompensare adeguatamente gli artisti? La risposta nel prossimo fuoco incrociato che, con tutta probabilità, non tarderà ad arrivare.