Gli editori spagnoli riuniti sotto la sigla dell’AEDE non vogliono che Google News chiuda in Spagna e sono pronti a denunciare l’intenzione presso l’authority della concorrenza a Bruxelles. La vicenda spagnola di Google News sembra scritta dai Monty Python, ma al momento si può riassumere così: gli stessi che hanno provocato la decisione di Google (prevista per domani) di chiedere il servizio News, ora pretendono che resti aperta: insomma, vogliono che l’azienda perda volontariamente denaro.
La notizia è stata riportata nei giorni scorsi e non ancora smentita, anzi: la lobby dei media spagnoli che ha spinto per la nuova legge sul copyright non ha emesso altri comunicati (ovviamente dedicati ai soli iscritti e di difficile reperibilità perché il sito Internet è realizzato secondo standard di almeno 15 anni fa) dopo quello che, prendendo di mira la posizione dominante sul mercato di Google, asserisce che la chiusura di GNews avrebbe «senza dubbio un impatto negativo sui cittadini e le imprese spagnole». Com’è possibile che un argomento a favore dell’importanza dell’aggregatore diventi anche argomento per chi ne ha causato indirettamente la chiusura? Secondo la portavoce dell’AEDE un conto è la chiusura dell’aggregatore, altro è l’indicizzazione dei contenuti sul motore di ricerca. Google, da questo punto di vista, ha già dato rassicurazioni che, peraltro, non è obbligata a dare.
Los editores piden la intervención de la UE y el Gobierno ante el cierre de Google News via @abc_es http://t.co/yxkGFhxKHN
— CLICK CODE (@clickcodes) December 15, 2014
Una contraddizione insanabile
Ormai è chiaro: gli editori spagnoli stanno vivendo sulla loro pelle le contraddizioni di questa legge che pretende di mettere a valore i microcontenuti linkati dei motori di ricerca e allo stesso tempo di negare l’importanza del servizio, una negazione psicologica che malcela un imbarazzante incapacità di ragionamento a freddo. L’AEDE difficilmente può aspettarsi che il governo spagnolo legiferi nuovamente per rendere obbligatorio il servizio Google News in perdita, né di stabilire una separazione tecnica dei diversi servizi dell’azienda, mestiere eventualmente dell’antritrust e secondo schemi e tempi molto più lunghi. Margrethe Vestager non ha certo modo di procedere per singola nazione.
L’unica opzione praticabile sarebbe quella, per evitare lo scempio della chiusura, di mettere sul tavolo un accordo tra le parti – come in Germania – in attesa di una soluzione, che consenta a Google di continuare il suo servizio sub iudice. Sembra invece che l’ossessione di proteggere col copyright questi microcontenuti (in realtà di nessun valore) dal male del Web sia destinata invece a diffondersi come una epidemia in altri paesi. Fosse per Maurizio Costa, presidente della FIEG, certamente anche in Italia.
Dio ce ne scampi.