Che lo si preferisca chiamare tempo di otturazione, tempo di posa oppure velocità dell’otturatore, poco cambia. Si tratta di uno dei fattori da tenere in considerazione quando si utilizza una fotocamera e uno dei parametri che contribuiscono a determinare la corretta esposizione delle immagini scattate.
Per capire di cosa si sta parlando è possibile immaginare l’otturatore come una sorta di tendina presente all’interno della macchina fotografica. Quando si alza, la luce proveniente dall’obiettivo arriva al sensore e impressiona l’immagine che viene poi salvata nelle schede di memoria (o su pellicola nei vecchi modelli analogici). Il periodo trascorso tra l’apertura e la chiusura di questa tendina si definisce, appunto, tempo di otturazione.
L’impostazione del parametro può essere affidata agli automatismi ormai presenti in tutti i modelli di compatte, mirrorless e reflex, ma chi vuole avere il pieno controllo sulle immagini scattate può agire sul valore in modo manuale, a seconda della situazione in cui si trova. Il tempo di otturazione viene indicato con una frazione se si tratta di intervalli inferiori al secondo: 1/15 (un quindicesimo di secondo), 1/30, 1/50, 1/125, 1/250, 1/500, 1/1000 e così via. Quando ci si riferisce invece a durate pari o superiori ad un secondo si utilizza solamente il numero intero: 1 (un secondo), 2, 4, 10, 20 ecc.
In linea di massima, si tenga conto che è bene impostare tempi di otturazione veloci (1/500, 1/1000) quando si desidera immortalare soggetti in rapido movimento senza ottenere l’effetto mosso, mentre non è necessario farlo quando ciò che si vuole fotografare è fermo, come nel caso di edifici o panorami (1/100). Naturalmente nella scelta del valore è bene considerare anche come questo va ad interagire con l’apertura del diaframma e la sensibilità ISO nel determinare l’esposizione finale.
Un primo esempio che spiega come regolare la velocità dell’otturatore sia importante in base allo scatto che si desidera ottenere è fornito dall’immagine allegata di seguito. Si tratta di una fotografia in cui sono immortalati tre ciclisti durante una competizione. I soggetti, pur muovendosi a velocità piuttosto elevate, risultano del tutto privi dell’effetto mosso. Questo è reso possibile dall’impiego di un tempo piuttosto ridotto, come 1/500, ovvero due millesimi di secondo. In altre parole, la luce che raggiunge il sensore è quella che l’otturatore lascia passare in un tempo molto breve, durante il quale gli atleti rimangono pressoché fermi nella stessa posizione.
Il secondo esempio, utile per capire come il tempo di otturazione possa essere sfruttato in moto da ottenere lo scatto che si desidera, è fornito dalla fotografia sottostante. Tutto ciò che riguarda la location risulta perfettamente fermo, immobile, poiché non si sposta, mentre il corpo del bambino che passeggia conferisce allo scatto un dinamico effetto di movimento. Questo perché, utilizzando un tempo piuttosto lungo (in termini fotografici), pari a 1/25 di secondo, l’otturatore rimane aperto per un periodo sufficiente da consentire al soggetto di spostarsi.
Una precisazione: con tempi di otturazione lunghi (1/50 o superiori) va considerato che anche il movimento della propria mano o del corpo contribuisce a generare l’effetto mosso, talvolta rovinando il risultato finale. Per questo è bene, soprattutto nella fotografia in notturna, valutare l’ipotesi di utilizzare un cavalletto, in modo da garantire la perfetta immobilità della fotocamera.