Qualcuno non ha partecipato, qualcuno, come il fondatore di Wikipedia, ha preteso di firmare in calce un disaccordo totale. Il comitato consultivo di Google per l’applicazione della sentenza europea sul diritto all’oblio ha prodotto un report che sembra fotografare lo stato perdurante di tensione tra due mentalità: quella continentale e quella statunitense.
L’advisory council approntato da Google la scorsa estate dopo la controversa sentenza della Corte Europea che ha di fatto inventato il diritto all’oblio ha girato le capitali europee (qui la trascrizione dell’incontro di Roma) per raccogliere opinioni circa la sua applicazione, cercando l’equilibrio migliore tra nuovo diritto di essere dimenticati e vecchio diritto alla conservazione della memoria storica per la conoscenza futura. Alla fine di questo questo tour, in mesi difficili durante i quali Google ha ricevuto numerose richieste (soddisfatte all’incirca nella metà dei casi) e più volte è stata sollecitata da garanti della privacy e dalla commissione europea a fare di più – ad esempio evitando il paradosso dei link deindicizzati in Europa ma presenti nelle versioni estere del motore di ricerca – è stato pubblicato il report conclusivo.
Pubblicato il report del Comitato Consultivo di Google sul diritto all' #oblio https://t.co/ytDiDdPKEP pic.twitter.com/2I9ERUlYdX
— francesco p. micozzi (@fpmicozzi) February 6, 2015
Diritto all’oblio: manca un accordo
Le 44 pagine del rapporto del comitato sono un campo di battaglia. L’altissima qualità dei suoi membri, a partire dal filosofo Luciano Floridi e Frank La Rue, non ha impedito una spaccatura evidente del comitato. Bisogna leggere con attenzione il documento, che dopo una introduzione si divide in tre capitoli sulla natura dei diritti nella sentenza, i criteri di valutazione delle richieste e qualche elemento sulle procedure; ma è già possibile estrarne i principi:
- Diversità Europa-Usa. Il punto più controverso di tutti è quello sulle competenze territoriali. Dal documento si evince la resistenza di Google ad accogliere l’estensione mondiale del diritto all’oblio in salsa europea. Il risultato è che su google.com i link deindicizzati restano visibili nelle risposte del sito.
- L’elenco delle eccezioni. Il report ha una lunga “lista dei fuori lista”, cioè quei casi nei quali la richiesta deve essere respinta. Il comitato ha individuato una precisa categoria di persone, a partire da quelle con un ruolo pubblico o semi-pubblico, specificando anche i casi controversi a proposito dei dati sulla salute, la vita affettiva e sessuale, il patrimonio, le convinzioni religiose e filosofiche (per le quali si propone una procedura veloce). Ma la valutazione della validità o meno dell’indicizzazione riguarda anche i casi di criminalità. La gravità del reato, il ruolo svolto dal richiedente in attività criminali, l’attività recente e la fonte delle informazioni, nonché il grado di pubblico interesse per le informazioni in questione sono sempre di particolare rilevanza per la valutazione, che di fatto è un vestito su misura.
La protesta e i distinguo
Proprio su questo vestito su misura, su Google come un sarto della memoria collettiva, Jimmy Wales ha protestato vibratamente. Il nucleo della sentenza e in un certo senso lo spirito collaborativo del documento finale non convincono il fondatore di Wikipedia. Le sue parole, in calce al report, non potrebbero essere più chiare:
Questa relazione è uno sforzo in buona fede che limita il confuso diritto europeo di formulare raccomandazioni a Google sul rispetto di questa legge. Sono felice che la relazione osservi esplicitamente che “la sentenza non stabilisce un diritto generale di essere dimenticati”. Mi oppongo totalmente alla situazione giuridica in cui una società commerciale è costretta a diventare giudice dei nostri diritti più fondamentali di espressione e di riservatezza senza alcuna procedura appropriata di ricorso degli editori le cui opere vengono soppresse. Il Parlamento europeo ha bisogno di modificare immediatamente la legge prevedendo un adeguato controllo giudiziario e con protezioni rafforzate per la libertà di espressione.
Fino a quel momento, le raccomandazioni a Google contenute in questo rapporto sono profondamente sbagliate, a causa della legge stessa profondamente sbagliata.
Il dibattito alle corde
Il dibattito sul diritto all’oblio da oggi è alle corde. Se anche tra i migliori esperti e sommando le raccomandazioni raccolte in giro per il continente non si è trovato un punto di equilibrio si torna alla base del discorso, quello sollevato più di un anno fa da Vint Cerf che disse che l’equivalente fisico del diritto all’oblio «è gente che viene a casa tua e ti butta dalla finestra i libri vecchi e i ritagli di giornale». Frank La Rue ha espresso lo stesso concetto, rifiutandosi di lavorare al report e sostendendo che «la decisione di un’autorità di cancellare una informazione può basarsi soltanto sul fatto che la forma con la quale si ottengano tali informazioni o il contenuto siano dannosi, falsi, o producano un danno grave ad un individuo», non vedendo come si possa fare distinzioni tra documenti cartacei esistenti e risposte di un motore di ricerca.
La posizione di Google
Con il rapporto pubblicato in queste ore si chiude il mandato in capo al Comitato e la palla passa nuovamente nelle mani di Google. Mountain View ha preso pertanto posizione per voce di David Drummond, Senior Vice President Corporate Development and Chief Legal Officer:
È stato molto utile ascoltare in questi mesi una molteplicità di punti di vista diversi in tutta Europa e terremo questo rapporto in considerazione. Nello svolgere le attività volte ad ottemperare alla decisione della Corte di Giustizia Europea stiamo anche attentamente considerando le indicazioni fornite dai Garanti europei.
Il punto di vista diplomatico di Google è che il Comitato aveva valore consultivo, dunque la spaccatura non è di per sé importante, dato che in ballo non c’era alcuna decisione da prendere. Quel che più conta è il contributo che le varie personalità partecipanti hanno donato al dibattito, arricchendolo di contenuti e anche di significato; un passo avanti nel difficile processo di metabolizzazione culturale del concetto di “diritto all’oblio”.