I fatti del Charlie Hebdo non sono finiti. La strage del Marais a Parigi ha infatti scatenato una catena di reazioni che sfociano ora anche a livello legislativo in una nuova norma per il controllo del Web. Quel che Alfano ha minacciato in Italia, insomma, è già realtà in Francia. E il tempo necessario per scavalcare le Alpi è molto probabilmente breve. Molto breve.
Decreto 2015-125
Il decreto prevede in pratica che un sito Web sospettato di propaganda terrorista possa essere bloccato nel giro di appena 24 ore senza passare per le lungaggini di una Corte. La magistratura viene quindi tagliata fuori dal meccanismo, mettendo arbitrariamente la decisione nelle mani della Polizia Nazionale (Ufficio centrale per la lotta contro la criminalità connessa alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione). La procedura è per molti versi simile a quella prevista dal famigerato Regolamento AGCOM di italiana memoria, nel quale una entità viene sostituita alla magistratura per agire in modo più rapido e incisivo, salvo lasciare alla magistratura un ruolo di garanzia con azione differita.
Gli Internet Service Provider saranno esecutori materiali dell’ostracismo sancito dalle decisioni della Polizia Nazionale: avranno l’onere di escludere i siti indicati attraverso apposite liste nere (che non potranno modificare arbitrariamente, né rendere pubbliche), filtrando così la parte accessibile del Web agli occhi delle masse. Tanto Hollande quanto il primo ministro Manuel Valls hanno già posto la propria firma al decreto (2015-125), rendendo così ufficiale il provvedimento: il decreto entra in vigore a partire da oggi creando un precedente estremamente pesante. Le polemiche si sono moltiplicate e stratificate in queste settimane, ma l’approvazione è una svolta: la politica ha preso definitivamente posizione e il fronte è destinato ad aprirsi per l’ennesima volta nel nome di una definizione di “libertà” che non sembra più essere la medesima per tutti.
Meno libertà per garantire la libertà
Le critiche sono immediate da parte degli attivisti che vedono in questo provvedimento un paradosso fatto per metà di ipocrisia e per metà di dolosa strategia politica. Secondo le istituzioni francesi il decreto è una reazione necessaria per frenare la propaganda jihadista in Francia, tagliando i fili tra l’origine del messaggio e le cellule terroristiche che tentano di arruolare nuove leve tra le proprie fila. Per contro, gli attivisti vedono in questo filtro soltanto una limitazione della libertà di espressione, un pericolo privo di qualsiasi vantaggio oggettivo nella realtà.
Pesante il giudizio de “La Quadrature du Net”:
Con questo decreto che istituisce la censura per i contenuti su Internet, la Francia aggira nuovamente il potere giudiziario, non ottemperando alla separazione dei poteri e limitando quella che è la prima libertà in ogni democrazia: la libertà di parola.
L’intervento prosegue ribadendo punti tanto ovvi quanto ignorati dalle istituzioni: l’inutilità e l’inopportunità del testo approvato:
Il blocco dei siti è inefficace in quanto facilmente aggirato. Si tratta inoltre di un intervento sproporzionato a causa del rischio di bloccare contenuti perfettamenet legali, soprattutto con la tecnica di blocco praticata dal Governo. Il provvedimento crea solo l’illusione che uno stato stia agendo per la nostra sicurezza, mentre in realtà fa un passo avanti nel minare i diritti fondamentali online. Dobbiamo portare questo decreto davanti al Consiglio di Stato per farlo annullare
Stessa richiesta giunge da Jilian York della Electronic Frontier Foundation, che prenota pertanto un ruolo della propria fondazione contro l’azione francese e tutto quel che ne conseguirà. Perché il contagio è facile da prevedere: l’Italia e il Regno Unito sono da settimane in prima fila nell’ipotizzare una stretta al Web e il fatto che la Francia abbia aperto la via sfonda porte aperte. Questione di giorni, ore forse: Angelino Alfano è pronto a sottoscrivere medesimo decreto previa traduzione in lingua italiana.
Il paradosso della libertà
I fatti del Charlie Hebdo hanno creato un corto circuito immediato, che gran parte dell’opinione pubblica ha ignorato: si sono smosse le masse non tanto per difendere il principio alto della Libertà (peraltro consacrato dalla storia proprio in terra francese), quanto per difendere una libertà di parte al cospetto di una minaccia concreta e pericolosa. Il paradosso è così servito: per difendere la libertà, si limita la libertà. Per contrastare chi ha tentato di spegnere una voce, si spengono voci.
Quel #jesuischarlie che doveva simboleggiare la declinazione post-moderna di Voltaire è stato tradito da interpreti che lo hanno usato come mezzo, non come fine.
La grande enfasi dei momenti dopo la strage, l’accorata partecipazione dei leader internazionali e l’appoggio dei media ha fatto il resto: l’opinione pubblica ha accettato di sacrificare la propria libertà di parola nel nome di una sicurezza personale avvertita come maggiormente urgente e necessaria. Un investimento di breve periodo nutrito dalla paura, insomma, che Hollande ha sfruttato per rassicurare il proprio popolo.
Un decreto inutile
Il decreto è anzitutto inutile. E questo per due motivi lapalissiani:
- Il blocco avviene tramite liste nere che gli ISP sono costretti ad applicare ai propri DNS. Gli utenti, però, possono scegliere liberamente il DNS in uso sul proprio dispositivo, il che mette nelle mani dell’utente la possibilità di scegliere liberamente se navigare su un Web filtrato (tramite i DNS degli ISP nazionali) o su un Web libero (tramite OpenDNS, GoogleDNS o altri ancora);
- Il blocco tramite DNS, facilmente aggirabile, sarà aggirato soprattutto da chi ne ha interesse specifico. C’è dunque da ipotizzare un paradosso ulteriore: a cadere vittima dei filtri non saranno quelle nicchie più predisposte a cadere nella propaganda terroristica, quanto il popolo comune che ignora la questione dei DNS e naviga solitamente su lande del Web tranquille e lontane da qualsivoglia contagio propagandistico.
L’inopportunità del decreto deriva invece, oltre che dai vari elementi messi in rilievo dagli attivisti in queste ore, dal fatto che l’oscuramento dei siti ne rende meno tracciabili le attività. Insomma: meglio bloccare l’accesso ad un sito di propaganda, oppure sarebbe meglio monitorarne le attività, le visite, i responsabili e le relative attività offline sul territorio? Meglio chiudere gli occhi per non vedere un pericolo, oppure tenerli bene aperti per evitarlo?
Ipocrisia e pedopornografia
Nel decreto c’è però un ulteriore elemento che stride. Ed è presente fin dal titolo del provvedimento: «Decreto n. 2015-125 del 5 Febbraio 2015, concernente il blocco di siti che provocando atti di terrorismo e siti che diffondono immagini e rappresentazioni pornografiche di minori». Cosa hanno a che vedere gli atti di terrorismo con la diffusione di immagini pedopornografiche? Perché mettere assieme due realtà tanto delicate e differenti, con il rischio concreto per cui la commistione tra le cose vanifichi gli interventi su entrambi i fronti?
Sorge il timore del dolo: coprire gli interventi contro il terrorismo con una promessa di intervento contro la pedopornografia, infatti, consente di raccogliere più facilmente il consenso generale attorno alla bontà del procedimento di censura. Del resto chi non vorrebbe fermare la pedopornografia? Tuttavia le dinamiche sono differenti e in entrambi i casi la censura sembra essere come la peggior soluzione. La lotta contro la pedofilia ha dimostrato come proprio la diffusione online di materiale riprovevole ha consentito di scoprire le organizzazioni a monte e il modo in cui adescano le proprie vittime. Il decreto non solo ribadisce la censura contro la pedopornografia, ma ne duplica le risultanze sull’ambito terroristico facendo di tutta l’erba un fascio.
Inopportuno e inutile, populista e superficiale: un decreto che lascerà profonde ferite, aggravando quelle che la strage del Charlie Hebdo ha già inciso negli occhi di tutto il vecchio continente. Ma contro cui un movimento di attivismo internazionale è pronto a sollevarsi nel nome di una libertà che torni ad avere la “L” maiuscola. Come la Francia ha preteso di insegnare al mondo soltanto pochi secoli fa.