È stato lanciato durante lo scorso evento Apple e, stando almeno ai primi dati resi noti, sembra già essere un successo. ResearchKit, il framework opensource di Apple per la ricerca medica, è un importante mezzo per aiutare gli studiosi nella comprensione di alcune malattie. Ma come è nato il progetto? Alcuni dettagli sono stati rivelati da Stephen Friend, uno dei ricercatori esperti impegnati nel progetto, in un intervento per Fusion.
Gli albori di ResearchKit risalirebbero al settembre del 2013, quando Friend si trovava alla conferenza MedX dell’Università di Stanford, per ipotizzare un sistema opensource per la ricerca medica. Nel pubblico pare vi fosse Michael O’Relly, ex Chief Medical Officer di Masimo Corporation e da poco in Apple. O’Relly sembra che si sia offerto per “implementare la visione di una ricerca medica centrata sul paziente, per cambiare radicalmente il modo in cui gli studi clinici vengono condotti”.
A seguito della conferenza, i due si sarebbero incontrati per avviare una collaborazione, tanto che le visite di Friend agli headquarter di Cupertino sembra si siano fatte più frequenti. Nel mentre, ha tenuto diversi workshop per esplorare quanto alcuni biosensori potessero aiutare gli scienziati nella comprensioni di malattie come il Parkinson.
Apple si sarebbe comportata innanzitutto come un canale per la facilitazione burocratica, occupandosi di tutte le necessità connesse all’approvazione della piattaforma alla Food and Drug Administration statunitense. Pare che in un primo momento l’azienda non avesse sposato in toto l’idea di un ambiente opensource, come società con un business principalmente basato sull’hardware proprietario, ma si sarebbe successivamente convinta della necessità di rendere ResearchKit il quanto più possibile aperto a tutti.
Come già noto, ResearchKit ha raggiunto le 11.000 iscrizioni a sole 24 ore dal rilascio pubblico. Il sistema, basato su un nugolo di app suddivise per patologia o disturbo, permette all’utente di compiere dei basilari test o di monitorare le condizioni quotidiane di salute, per poi inoltrare i dati raccolti in forma anonima e nel pieno rispetto della privacy ai ricercatori.