Alessandra Poggiani ha deciso di lasciare l’Agenzia per l’Italia digitale. La notizia è trapelata grazie a una intervista – poi parzialmente smentita dalla stessa – su Wired, che nel fine settimana ha scatenato una furia di supposizioni e interpretazioni. Le uniche due cose certe sono le dimissioni e la ragione ufficiale: la candidatura in lista per il sostegno ad Alessandra Moretti nella corsa alle elezioni regionali. È evidente però che queste dimissioni dicono anche quanto sia difficile governare l’agenda digitale italiana e pone una questione importante: quale scenario prevarrà? Continuità o rottura della governance attuale?
Le parole sofferte della Poggiani, nominata direttrice nemmeno un anno fa dopo il bando della Funzione Pubblica, possono essere riassunte con una sola: governance. L’organizzatrice di Digital Venice ammette di essersi sentita sola, di non avere avuto una squadra. Nell’intervista ha avuto buone parole per i compagni di strada, evidenziando però di ciascuno le debolezze intrinseche: Stefano Quintarelli «segue con gran tenacia le battaglie che gli stanno a cuore, ma poi comunque ha la sua attività di parlamentare», il digital champion Riccardo Luna, suo sostenitore, «ha fatto un lavoro intelligente con i digital champions locali, ma lui è un comunicatore», Paolo Barberis, consigliere di palazzo Chigi per l’innovazione, «deve seguire le proprie attività». Insomma, secondo la Poggiani ci sarebbe stato un deficit tecnico unito alla governance complicata di una struttura dipartimentale che ha ereditato la situazione totalmente bloccata del commissario Ragosa e una serie di contenziosi che avrebbero fatto tremare i polsi a chiunque.
.@CarloDani3 @la_pippi @wireditalia io credo che le dimissioni siano un gesto nobile e che merita rispetto. Poco praticato nel nostro paese
— Massimo Russo (@massimo_russo) March 28, 2015
Rispetto è nel fatto che voglio solo provare a ridare alla mia cittá quello che posso. Il resto è fuffa @massimo_russo @wireditalia
— Alessandra Poggiani (@la_pippi) March 28, 2015
Come da copione, tra il giornalista che ha realizzato l’intervista e la Poggiani c’è stato uno scontro, la direttrice dev’essersi accorta che lo sfogo amaro su quanto sia impossibile cambiare la pubblica amministrazione (anche se la manager intendeva quando si è senza adeguati strumenti) non è proprio un bel biglietto da visita per scendere in politica e allora si è entrati in un circo social-mediatico poco costruttivo e piuttosto spiacevole, che dà una coloritura da rivalità di cortile (sua espressione) alla vicenda e fa venire una gran voglia di parlare soltanto al futuro. Perché se anche qualcuno abbandona il campo, la guerra continua.
Il futuro dell’Agid
Mentre all’Agid non si sono ancora decisi ad ufficializzare le dimissioni – pare ci sarà una conferenza stampa – già si parla del futuro. Si deve. L’agenzia è in piena attività, da domani scatta l’obbligo della fatturazione elettronica, in aprile/maggio parte Italia Login, una piattaforma molto sofisticata e ambiziosa nel piano di riforma della pa. Il dipartimento non può permettersi di fare a meno di una guida forte, e presto. Gli scenari possibili sono quattro:
- Continuità con decreto. Matteo Renzi potrebbe decidere, vista l’urgenza, di cambiare la norma e scegliere il nuovo direttore dell’Agid come commissario speciale, in attesa di un bando. In questo caso, il nome più probabile sarebbe quello di Barberis.
- Continuità con bando veloce. La legge attuale prevede che sia la Funzione Pubblica ad aprire un bando per individuare il successore della Poggiani. Un metodo ovviamente più trasparente – anche se è comunque insindacabile – che riprodurrebbe le stesse dinamiche di quello precedente. Nulla vieta che sia molto breve, e che alla fine prevalga la vicinanza e simpatia politica.
- Rottura nella continuità. È possibile anche che si concretizzi l’idea promossa in questi mesi da Andrea Guerra e Marco Carrai, due uomini sui quali Renzi ripone molta fiducia. L’ex ad di Luxottica e il renziano di ferro da tempo stanno lavorando una completa centralizzazione della governance del digitale. In pratica palazzo Chigi avrebbe molto più potere, ci sarebbe un nome di riferimento, come fu Caio ai tempi di Letta, e l’Agid assumerebbe un ruolo più tecnico e meno autonomo, forse verrebbe anche un po’ svuotata. Molti i nomi che potrebbero andare bene, dallo stesso Caio ad altri.
- Rottura completa. Lo scenario meno probabile: aprire per un tempo più lungo la ricerca della figura idonea, processi più trasparenti e affidamento di maggiori strumenti all’agenzia e ai tavoli permanenti. Insomma, crederci davvero e metterci le persone giuste senza pensare alle simpatie.