Poggiani, Agid, dimissioni, innovazione, Veneto, candidatura. Ecco fatto, le parole chiave sono nell’articolo, sono nel primo paragrafo, il grassetto c’è e i nomi li abbiamo fatti. Ora possiamo procedere con libertà, dimenticando le parole chiave e dimenticando soprattutto i nomi. Perché quel che si vuol raccontare esula dai nomi e non è un attacco personale. Quel che si vuole raccontare è una storia di ruoli e responsabilità, privata dai dettagli, perché i dettagli rischiano di nascondere l’essenza. E quella vorremmo tentare di descrivere.
Il Governo, l’Ente, il Direttore
La storia è quella di un Governo, che chiameremo Governo, che ha la necessità di alzare la bandiera dell’Innovazione perché parte del proprio DNA e della propria campagna elettorale. Questo Governo ha così creato un Ente, che chiameremo Ente, che ha questo preciso obiettivo: capire come far leva sul digitale per aumentare i giri motori del paese Italia. A capo dell’Ente, il Governo ha messo un Direttore Generale, che chiameremo Direttore: capacità apparentemente indiscusse, curriculum ampio e profondo, esperienze internazionali a cui nessuno vorrebbe mai rinunciare. Le stelle sul petto sono la sua autorevolezza, in attesa che inizi ad impartire le proprie indicazioni. Il Direttore prende così le redini dell’Ente e inizia.
L’Ente mette in cantiere i primi progetti. Sa di dover far bene e in fretta, ma sa anche che mai come questa volta ha alle spalle qualcuno che ci crede davvero (o almeno così sembra). Ed a parole sembra in effetti che tutto fili liscio: l’Ente inizia a delineare i propri tavoli di lavoro, si circonda di uno storytelling positivo e contagioso, il team sembra affiatato. Identità digitali e banda larga diventano i pilasti del rilancio e il messaggio entusiasta che ne esce è all’unisono un “ce la faremo” supportato da argomentazioni continue intrise di opportunità e determinazione. Ce la faremo perché siamo squadra, ce la faremo perché siamo il paese del Rinascimento, ce la faremo perché ci crediamo, ce la faremo perché sappiamo di potercela fare tutti assieme.
Il Generale, le dimissioni, la guerra
Poi il Direttore smonta, smentisce e smobilita tutto. Improvvisamente, anche se la dietrologia dice che non sia cosa poi così improvvisa. Dice che ringrazia il suo team, ma al tempo stesso trapela il fatto che il team non sarebbe stato così affiatato. Ringrazia chi ha creduto nell’Ente, ma fa capire che le dimissioni son dovute al fatto che in realtà non si credeva troppo nel lavoro portato avanti. Parole a metà, tra passaparola e smentite, che alimentano i dubbi e le perplessità.
Fin qui tutto normale o quasi: ci sta di cambiare idea, potrebbe essere addirittura onorevole dare le dimissioni quando non ci si rende conto di poter portare a compimento la missione. Ma c’è un altro lato della medaglia.
Quando si affida a un Generale una battaglia, soprattutto se si tratta di una battaglia difficile e determinante, ci si aspetta che quel Generale dia tutto per arrivare alla vittoria. Ci si aspetta di vederlo in prima fila, se necessario, quando si arriva agli ultimi colpi per determinare una vittoria o una sconfitta. Ci si aspetta di vederlo vicino alle truppe nei momenti più difficili e in grado di entusiasmarle quando è venuto il momento di andare all’attacco. Quel che non ci si aspetta, è un Generale che improvvisamente sale a cavallo e lascia il campo di battaglia. Questo perché le truppe rimangono disorientate, sanno di dover seguire le vecchie strategie fin quando non arriverà un nuovo Generale, ma in ogni caso si sentono tradite e abbandonate. E questo nel bel mezzo della battaglia più importante e difficile.
Se poi trapela tra le trincee l’ipotesi per cui il Generale ha lasciato la battaglia per andare a fare il soldato laddove la battaglia sarà molto più semplice da vincere, allora ci si sente anche sbigottiti: era un vero Generale quello che guidava l’armata? Le stelle che portava sul petto erano vero oro? Chi si sente tradito ha diritto ad alimentare qualsiasi dubbio, se non altro per compattare le fila. Del resto nessuno mette in discussione il valore del Generale: quel che si teme è che non fosse quello il ruolo giusto.
A prescindere dalle strategie e delle motivazioni che si possano avere ai piani alti, è questo il messaggio che passa in trincea: il Generale se ne è andato, evidentemente pensa che la battaglia sia persa. Ma se ne è andato dicendo che la sua squadra non era all’altezza, che lo Stato non forniva abbastanza armi. Colpa delle armi o della strategia? Colpa dell’esercito o di chi lo ha guidato? Quando arriverà il nuovo Generale? E chi sarà?
Un Generale vero
Il vecchio Direttore dell’Ente sarà presto un Politico. Va in un esercito che, se non farà errori di sorta, è destinato a portare a casa il risultato combattendo contro truppe divise e mal nutrite. Mentre l’Ente affronterà una delle battaglie più difficili, il Direttore scende da cavallo ed abbandona il campo di battaglia senza aver perso. Porterà le sue competenze, le sue medaglie e la sua esperienza al servizio di una missione diversa. Nessuno potrà mettere in discussione competenze, medaglie ed esperienza, ma alle spalle si lascia un esercito che sa di non potersi più fidare. E quell’esercito ora ha bisogno di un Generale vero. Di un condottiero.
Perché mentre il vecchio Generale se ne va, la guerra continua.