Google deve ufficialmente fare i conti con una doppia accusa da parte dell’antitrust europea. La vicenda affonda le origini negli anni passati, ha vissuto la sua evoluzione principale sotto il mandato di Joaquin Almunia, ma ora è toccato a Margrethe Vestager firmare le carte che mettono il colosso di Mountain View con le spalle al muro. Quello che sta per iniziare è un processo che si preannuncia lungo e senza esclusione di colpi, poiché in ballo v’è uno dei principali snodi relativi alla competizione online ed al rapporto tra l’innovazione europea e lo strapotere della Silicon Valley.
La Commissione ha anzitutto messo nero su bianco l’accusa relativa ad un presunto abuso di posizione dominante «sui mercati dei servizi generali di ricerca online nello Spazio economico europeo (SEE)», con particolare riferimento alla comparazione di prezzi online in ottica di un acquisto da servizi di e-commerce. Nel mirino, insomma, v’è Google Shopping:
In via preliminare la Commissione ritiene che tale comportamento violi le norme antitrust dell’UE limitando la concorrenza e danneggiando i consumatori.
In secondo luogo si è puntato il dito contro Android, ipotizzando che il gruppo abbia stretto accordi anticoncorrenziali per imporre il proprio sistema operativo mobile sul mercato.
Fondamentali, in tal senso, le parole del commissario Vestager, poiché fotografano l’esatta situazione dell’indagine dopo mesi e mesi di trattive infruttuose nei confronti del gruppo guidato da Larry Page:
Obiettivo della Commissione è applicare le norme antitrust dell’UE per garantire che le imprese operanti in Europa, ovunque si trovi la loro sede, non privino i consumatori europei della più ampia scelta possibile o non limitino l’innovazione. Nel caso di Google, sono preoccupata che l’impresa abbia accordato un vantaggio sleale al proprio servizio di acquisti comparativi in violazione delle norme antitrust europee. Google ha ora l’opportunità di convincere la Commissione del contrario. Tuttavia, se l’indagine dovesse confermare i nostri timori, Google dovrebbe affrontare le conseguenze giuridiche e cambiare il suo modo di operare in Europa. Ho inoltre avviato un’indagine formale antitrust sulla condotta di Google relativa a sistemi operativi, applicazioni e servizi mobili. Smartphone, tablet e dispositivi analoghi rivestono un ruolo sempre più importante nella vita quotidiana di molte persone, e voglio essere certa che i mercati in questo settore possano svilupparsi senza alcuna restrizione anti-concorrenziale imposta da qualche azienda.
L’accusa contro Google Shopping
L’accusa contro Google Shopping è quella da cui ha avuto origine l’indagine nel 2010. Nel tempo sono state coinvolte a più riprese varie aziende che agiscono in competizione con Google, ascoltando le loro obiezioni e facendo tesoro delle controdeduzioni del motore di ricerca. Al termine di questo percorso la Commissione Europea si è sentita di formulare la propria accusa contestando il modo in cui Google Shopping viene integrato all’interno del motore di ricerca “imponendo” tale scelta ai danni di altri servizi di comparazione.
Secondo quanto indicato dalla comunicazione diramata dall’autorità antitrust comunitaria, Google avrebbe sistematicamente favorito Google Shopping rispetto alle offerte concorrenti, il tutto con un diretto vantaggio nei confronti di un proprio stesso prodotto. Va ricordato infatti come la posizione dominante in un mercato non sia mai contestabile in sé, mentre ad essere potenzialmente contestati sono gli abusi finalizzati ad estendere il proprio dominio da un settore ad un altro secondo una logica di vasi comunicanti che le regole per la libera concorrenza non possono tollerare.
Secondo la Commissione, Google «può artificialmente deviare il traffico da servizi di acquisto comparativo concorrenti e impedire loro di competere sul mercato. La Commissione teme che gli utenti non riescano sempre a vedere i risultati più rilevanti delle loro ricerche: questo danneggia i consumatori e limita l’innovazione. A titolo preliminare, la Commissione ritiene che Google debba accordare lo stesso trattamento ai propri servizi di acquisto comparativo e a quelli dei concorrenti». Il problema sarebbe nel fatto che Google Shopping occupi una posizione preminente tra i risultati del motore a prescindere dal merito: semplicemente il comparatore proprietario è stato posizionato laddove l’utente lo considera una soluzione di favore e così facendo ne ha in qualche modo imposto l’utilizzo ai danni di altre soluzioni del comparto.
Sebbene la “ricetta” di Google si celi tra gli algoritmi del motore e rimanga pertanto segreta, l’accusa va oltre quel che non è dato sapere circa il posizionamento degli elementi sulla pagina dei risultati: Google Shopping sarebbe stato sistematicamente favorito e la pratica che porta Google a formulare risultati considerati preminenti (pur nell’interesse dell’utente) non sarebbe sufficiente per motivare una scelta esclusiva ai danni della concorrenza.
Siccome le precedenti proposte di accordo formulate da Google non sono state giudicate utili allo scopo (soprattutto in virtù delle contestazioni portate avanti dai concorrenti tirati in ballo con audizioni private). ora l’accusa è stata formulata a titolo ufficiale e si lasciano all’azienda di Mountain View 10 settimane per formulare le proprie controdeduzioni, da presentare quindi alla Commissione in sede di audizione formale.
L’accusa contro Android
La seconda accusa mette nel mirino il robottino verde che rappresenta oggi la fetta preminente del software sui dispositivo mobile presenti nelle mani degli utenti. Android, grazie alla sua distribuzione gratuita sotto formula open-source, ha saputo conquistare i favori dei produttori, ma tra le maglie di questa strategia potrebbe celarsi un problema: «l’indagine approfondita della Commissione esaminerà se Google abbia violato le norme antitrust dell’UE impedendo lo sviluppo e l’accesso al mercato di sistemi operativi, applicazioni e servizi mobili concorrenti, a danno dei consumatori e delle società di sviluppo di servizi e prodotti innovativi».
In questo caso al centro della questione vi sono le clausole firmate dai produttori di device nel momento in cui accettano di ospitare Android sui propri terminali. Google offre gratuitamente il sistema operativo, rendendolo così particolarmente appetibile in virtù dei margini offerti ai partner commerciali, ma in cambio chiede che sul terminale siano anche installati alcuni servizi di Mountain View (peraltro con formula di esclusività), impedendo così ad aziende rivali di poter trovare spazio laddove il sistema operativo garantisce l’incontro con grandi masse di utenti.
La presunta gratuità di Android (concetto più volte contestato da Microsoft sia in relazione alle presunte violazioni di brevetto che già hanno costretto ad accordi extragiudiziari molti dei partner del mondo Android, sia relativamente ai dettagli del contratto tra Google e OEM) sarebbe dunque la leva utilizzata dall’azienda per colonizzare il mondo mobile con i propri servizi: il sistema operativo crea la base e le applicazioni la monetizzano. La strategia si è rivelata impeccabile, ma l’antitrust comunitaria ne mette ora in discussione gli assunti basilari contestando la pratica come potenzialmente anti-concorrenziale.
Altre indagini
La Commissione Europea sembra però aver aperto anche altri fronti: mentre i procedimenti relativi a Google Shopping e Android giungono alla fase conclusiva, ulteriori indagini proseguono su altri ambiti per vagliare la posizione di Big G in relazione ad ambiti differenti: lo “scraping” di contenuti da siti Web rivali e presunte irregolarità nei rapporti con i partner del mondo advertising.
Le procedure portate avanti dall’antitrust non saranno brevi: Google inizia ora la fase difensiva sapendo di avere poche settimane per convincere la Commissione sulla bontà delle proprie scelte, ma in ballo v’è una sanzione fino al 10% del fatturato del gruppo (ossia fino a 6,6 miliardi di dollari). La Commissione in tal senso è chiara: non esiste alcuna deadline per la chiusura delle indagini, dunque l’UE ha ora tutto il tempo per discutere il tema, valutarlo nel merito e trarre le proprie conclusioni. I ricordi del caso Microsoft sono esplicativi in tal senso: audizioni, indagini ed appelli hanno impiegato anni prima di arrivare ad una conclusione, ma gli effetti sul mercato che fu di Internet Explorer si sono infine fatti sentire. Ora nell’occhio del ciclone c’è un altro colosso della Silicon Valley, il cui ruolo nella ricerca online e nel mercato dei servizi in mobilità sono ora messi severamente in discussione.
La risposta di Google
La risposta di Google è nel merito, attinge ai numeri e fa dietrologia per dimostrare l’insostenibilità delle accuse. In particolare viene messa in evidenza la situazione legata a Google Travel, avversata nei mesi passati da una concorrenza timorosa di poter perdere quote di mercato (il tema non è però mai arrivato formalmente sull’agenda dell’antitrust europea). La realtà dei fatti consegna a Google Travel soltanto una porzione minima del mercato stesso, dimostrando pertanto come nel tempo il sistema di SERP messo in atto (sfruttando Google Travel in modo simile a come agisce Google Shopping) non abbia apportato alcun vantaggio all’azienda e al servizio.
Google spiega inoltre come la scelta degli utenti sia mai stata libera come oggi, il che sminuisce l’accusa secondo cui un semplice posizionamento sul motore di ricerca possa cambiare la direzione del mercato. Appositi grafici dimostrano come Google Shopping sia oggi fortemente minoritario in termini di pagine viste rispetto ad Amazon, eBay, Kelkoo o altri servizi di vendita e comparazione: Google vuol partire quindi dai dati di fatto, cercando di smobilitare tanto l’UE quanto l’opinione pubblica.
Qualsiasi economista potrebbe dire che non vedrai mai innovazione, nuovi nomi in entrata o investimenti in quei mercato ove la competizione è stagnante o dominata da un solo player. Ma questo è esattamente ciò che succede nel nostro mondo. […] Ecco perché rispettiamo ma disapproviamo fortemente le accuse […]
In riferimento al dito puntato contro Android, la risposta va nella medesima direzione:
Difficile da credere, ma solo dieci anni fa gli smartphone erano quasi inesistenti. Le persone usavano telefoni con funzionalità basilari, che erano un vero incubo per gli sviluppatori. All’epoca l’unico modo per sviluppare applicazioni era farlo per ciascun dispositivo e ciascuna piattaforma; in Google avevamo un armadio con centinaia di telefoni che venivano testati uno a uno, ogni volta che volevamo lanciare un nuovo software. Android è nato da questa frustrazione. Realizzando un sistema operativo eccellente, gratuito e open source, speravamo di poter alimentare in modo decisivo l’innovazione in questo settore e lasciare ai produttori e agli sviluppatori la possibilità di concentrarsi su ciò che fanno meglio. Al tempo furono in molti a pensare che questo piano fosse una follia.
E siccome l’accusa contro Android è relativa allo specifico degli accordi controfirmati dai produttori, un dettaglio della risposta appare particolarmente interessante:
A differenza di Apple, la società di telefonia (mobile) che realizza i maggiori profitti al mondo, ci sono molte meno applicazioni Google preinstallate su telefoni Android di quante siano quelle Apple presenti sui dispositivi iOS.
Come accusare Google di aver sfruttato la propria posizione dominante se i mercati correlati in esame non vedono Google conquistare apprezzabili quote di mercato? E come accusarla di abuso quando proprio l’azione di Google ha diversificato offerta e possibilità di scelta? La tesi difensiva di Mountain View si reggerà per buona parte su questo assunto semplice e diretto. Il teorema è già stato confezionato ad uso e consumo di stampa e pubblica opinione, mentre i dettagli saranno approfonditi in sede di audizione con un incontro diretto tra le parti.