Il rapporto tra il guidatore e l’automobile è destinato a cambiare profondamente nei prossimi anni, e anche se per arrivare alla totale autonomia delle auto ci vorrà ancora del tempo, la strada è ormai presa e la tecnologia per farlo esiste già. Allora, filosoficamente, si è di fronte a uno dei quesiti preferiti di tutte le distopie fantascientifiche: se gli oggetti si animano c’è il rischio che gli esseri animati diventino oggetti?
Il rapporto tra uomo e strumento è sempre stato al centro dell’evoluzione. Ogni volta che l’uomo ha inventato uno strumento che lo facilitava in una operazione (scaldarsi, cacciare, muoversi, lottare) ha nel giro di breve tempo perso alcune facoltà per acquisirne di nuove, necessarie per affrontare sfide prodotte dagli scenari imposti da quella stessa tecnologia: che fosse una punta di selce, o la ruota. Per questo ha poco senso l’allarme sulla pigrizia mentale imposta dai tanti dispositivi che già oggi consentono all’uomo di non doversi più concentrare, o memorizzare: senza questa abilità, semplicemente l’homo sapiens non si sarebbe evoluto e non avremmo avuto lo spazio mentale per immaginare altro.
Il rapporto tra l’uomo e l’auto ha iniziato a mutare il giorno in cui la tecnologia è salita a bordo: il climatizzatore ha automatizzato la gestione della temperatura, i pulsanti hanno automatizzato il controllo delle manovelle, fino ai navigatori satellitari che hanno automatizzato la scelta della direzione. Entro breve il pilota sarà completamente unplugged: sarà disconnesso, potrà connettersi ad altri mondi e delegare il controllo dell’auto agli automatismi.
E non c’è dubbio sul fatto che sarà una storica rivoluzione.
Meno controllo, più potere
La guida autonoma delle vetture, che ormai non è più utopia anche se ci vorrà ancora del tempo per realizzarla per una società di massa, spalanca uno scenario da romanzo fantascientifico: un uomo provvisto di strumenti elettronici indossabili alla guida di mezzi “pensanti”. In realtà però gli scenari sono due: quello di un uomo totalmente liberato dall’uso del mezzo, oppure immerso in una guida a realtà aumentata. Nel primo caso, gli algoritmi e la nuvola di dati gestita nelle smart city – il sistema urbano è più adatto a queste tecnologie nella loro prima fase sperimentale – sostituiscono il peso individuale delle scelte di guida. Nel secondo, invece, le tecnologie indossabili fanno dell’uomo presente nell’autovettura un altro meccanismo al servizio dell’efficienza di guida.
Quel che incuriosisce è provare a capire quale modello prevarrà, oppure se – com’è probabile – entrambi per un periodo di tempo conviveranno sulle stesse strade. Sono già a uno stadio importante di sviluppo occhiali per la visione in realtà aumentata, sistemi di lettura di messaggi per auto, volanti ipertecnologici che interfacciano il conducente sui dati della smart mobility, sistemi operativi pensati per le auto elettriche in grado di fornire informazioni utili alla gestione dei consumi. Ma ci sono anche esperienze ancora più radicali, dove i sensori sono utilizzati per liberare l’uomo dall’incombenza della scelta, della valutazione, per sostituirlo. Il cyborg perde di mano il volante, insomma, trasformandosi in mero passeggero privo di responsabilità.
La self-driving car impone senza dubbio il cambiamento antropologico più vistoso, quello che potrebbe contribuire a una evoluzione del cervello umano, insieme a tante altre tecnologie. Più tempo per pensare ad altro, e quindi più probabilità di nuovi scenari e allo stesso tempo più controllo da parte di quella “società dell’algoritmo” di cui si parlerà sempre di più. Perché l’algoritmo non è oggettivo: è comunque un prodotto umano, frutto a sua volta di scelte culturali, di A/B test inconsapevoli: considerarli di pura oggettività matematica sarebbe un errore.
Dalla maggiore o minore trasparenza delle regole che governano tale gioco, e dalla maggiore o minore possibilità di partecipazione ad esso, dipenderanno direzione ed esiti delle trasformazioni dei corpi e delle menti degli uomini del millennio che si apre.
Paola Borgna, “Tecnologie del post-umano”
Il termine ultimo di questo rapporto evolutivo alla fine è tutto qui: l’uomo non dovrà più preoccuparsi di dominare il veicolo, bensì gli algoritmi che lo guidano al posto suo. Per ribadire l’impossibilità ontologica di una prevaricazione del creato rispetto al creatore.