Una sentenza della Corte di Cassazione ha di recente ribadito l’aggravante della fattispecie di reato della diffamazione a proposito di Facebook. Si era già parlato di questa vicenda, quando il tribunale aveva sostenuto di non avere competenza al riguardo. Senza entrare nei legalismi, due giudici diversi (Giudice di Pace prima e Tribunale in composizione monocratica poi) si sono dichiarati incompetenti in base alle regole del codice di procedura penale a decidere sul caso di una diffamazione via Facebook. E questo è stato interpretato dai media come un passaggio culturale verso il reato a mezzo stampa, con il social network equiparato ai giornali. Niente di più sbagliato.
No, Facebook non c’entra nulla con un giornale e non c’è nessuna equiparazione. La diffamazione a mezzo internet (e quindi anche a mezzo bacheca Facebook) è un’ipotesi aggravata di diffamazione in quanto l’offesa è stata recata con “qualsiasi altro (altro rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità”. Equiparare web a stampa comporterebbe l’applicazione analogica delle sanzioni previste per la stampa anche a quelle situazioni che stampa non sono; significherebbe estendere la portata di determinate norme riferite solo alla stampa (pubblicazione clandestina, responsabilità del direttore, oppure la diffamazione che porta la pena fino a sei anni di reclusione), ma è del tutto insensato e impossibile.
Webnews l’ha chiesto all’avvocato Francesco Paolo Micozzi, che in molte occasioni ha scritto di questo argomento e ha criticato una certa superficialità dei media mainstream nel trattare diffamazione e Facebook come un titolo facile.
Titolo fuorviante @sole24ore! Diffamazione via FB NON è equiparata a diff. a mezzo stampa! http://t.co/Jh0cRamdb7 pic.twitter.com/DAog3GxNCW
— francesco p. micozzi (@fpmicozzi) June 9, 2015
Avvocato Micozzi, prima di tutto: cosa non dice la sentenza?
La sentenza si occupa solo della competenza nel caso di diffamazione aggravata e non dice affatto che diffamare via Facebook equivalga alla diffamazione a mezzo stampa.
Cambia qualcosa rispetto al nostro comportamento nei confronti degli altri quando usiamo il social network?
Nel caso della diffamazione non cambia niente. Non occorre una nuova norma ad hoc per punire anche le diffamazioni via Internet. L’art. 595, terzo comma, c.p. ne consente già la punizione.
Che poi è la ragione per cui anche Webnews ha sempre ostaggiato le varie ipotesi di leggi speciali per questi reati quando commessi sul web…
Esattamente. L’analogia web-stampa nel diritto penale è vietata dal principio di legalità: è il cosiddetto divieto di analogia in malam partem (ossia l’estensione di norme “sfavorevoli” anche a casi non espressamente disciplinati). Purtroppo questa analogia viene spesso utilizzata da un lato per fare del terrorismo oppure per giustificare vari interventi legislativi ad hoc.
Le reazioni delle persone a questa non-notizia mostrano che ancora oggi tanti non capiscono un concetto semplice: che ingiurie e diffamazione sono reati sempre, a prescindere dal mezzo. Lo nota anche nella sua professione?
È qualcosa che spesso non viene percepito dai non addetti ai lavori. A loro rivolgerei questa domanda (retorica): se io rivolgessi a loro la stessa frase offensiva via Internet invece che sulle colonne di un quotidiano si sentirebbero meno offesi?
Magari qualcuno pensa che in effetti la platea gigantesca, un po’ gassosa, di un social, non sia come un volantino sulla porta di casa…
Ovvio, il legislatore ha graduato diversamente, con le aggravanti, la sanzione prevista per la diffamazione anche a seconda della diffusività dell’offesa. Ma la qualificazione giuridica della frase offensiva come “diffamatoria” non cambia affatto.
Bisogna ribadirlo ancora: offendere gravemente, diffamare, è sempre reato. E se compiuto su Facebook è possibile anche un’aggravante per la sua diffusione. Questo però non ne fa un mezzo a stampa. Basta e avanza il mezzo per quel che è.