Il voto relativo al rapporto sul copyright dell’europarlamentare Julia Reda (Partito Pirata) è stato il terreno di scontro tra due mondi differenti, due approcci opposti al problema. Da entrambe le parti si può guardare a vittorie e sconfitte maturate in un compromesso, ma la risultanza più importante è proprio nel compromesso stesso: si tratta del punto di partenza sul quale costruire la riforma del futuro.
Il testo votato è stato fortemente emendato sulla scia di forti pressioni portate avanti in modo trasparente dalle lobby del settore, ma la cosa più importante è la motivazione che ha mosso le parti a muoversi in differenti direzioni.
Se da una parte v’è un movimento ampio di attivisti che puntano ad una riforma del copyright che aumenti il perimetro delle libertà concesse agli utenti (nel nome della creatività e di un maggior equilibrio delle regole), dall’altra c’è un’industria che ha il dovere di tutelare il proprio impianto per garantire crescita, posti di lavoro e continuità nel tempo. Tutto ciò, a maggior ragione, a fronte di una rivoluzione che ha coinvolto la musica prima di ogni altro comparto e dalla quale il settore è già uscito fortemente ridisegnato: un mercato che viene costruito proprio sugli assunti del copyright non può certo cedere a compromessi eccessivamente blandi, poiché in ballo non v’è tanto la situazione presente, quanto la direzione futura a cui il modello di business dovrà presto o tardi rispondere.
Secondo la Federazione Industria Musicale Italiana, che ha lavorato a lungo sul rapporto Reda nei mesi passati, le argomentazioni da tenere in considerazione sono molte, a partire dal ruolo che l’industria del copyright ha nel quadro economico attuale e nelle indicazioni che la Commissione Europea sta adottando nelle proprie linee guida:
Le priorità della nuova Commissione sono competitività, crescita e occupazione. Il recente studio dell’ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (UAMI) ha confermato che i settori fondati sul copyright sono stati determinanti nello sviluppo competitivo dell’economia europea. Secondo la Commissione i settori basati sul copyright rappresentano il 4,5 % del PIL EU e più del 4 % dell’occupazione.
La FIMI ha pertanto bocciato un approccio che aumenti il numero delle eccezioni all’impianto del copyright, mentre difende a spada tratta i risultati già conseguiti nella rapida mutazione che il comparto ha sperimentato in questi ultimi anni:
Il settore musicale ha dimostrato che il sistema in vigore ha consentito lo sviluppo di un diverso mercato digitale orientato ai consumatori. Oltre 230 piattaforme offrono ai consumatori europei più di 43 milioni di brani in tutta la EU, in formati diversi e con diversi livelli di prezzo, con una portabilità garantita e un accesso illimitato. Le normative in vigore hanno anche consentito l’emergere di importanti start-up europee come Spotify, Deezer e 7digital.
[…]
L’eventuale revisione del copyright in Europa dovrebbe pertanto tenere conto del rilevante contributo dei settori creativi all’economia ed alla cultura europea consentendone l’ulteriore sviluppo.
La contestazione della FIMI, ricavata da documentazione antecedente alla votazione e risultante dall’attività di analisi sul rapporto Reda, affonda il colpo anche sulla poca chiarezza delle raccomandazioni e sul fatto che ogni previsione sia scarsamente supportata da dati economici ed argomentazioni forti. In assenza di dimostrazione, insomma, la tesi non regge e merita di essere quantomeno emendata.
La conseguenza è quella di un voto che ha lasciato la situazione sostanzialmente ferma, pur in presenza di un incontro che porta comunque ad un nuovo livello la consapevolezza della necessità di una revisione del copyright a livello continentale. Da una parte la partita si chiude con l’amaro in bocca e con la sensazione di aver perduto una buona occasione; dall’altra si volta pagina e si raccolgono i risultati di una pressione che ha evitato imprevedibili sbandate da parte di chi ha il dovere di legiferare a livello continentale.