L’indagine della Commissione Europea sull’operato di Google vede l’ingresso ufficiale di Getty Images nella vicenda con il ruolo “interested party”, ovvero parte interessata. Al centro della vicenda, in questo caso, l’indicizzazione delle immagini ospitate dal servizio attraverso le pagine di Google Immagini, con un metodo che la piattaforma ritiene lesivo nei suoi confronti.
L’indicizzazione delle immagini
In altre parole, Getty Images denuncia il comportamento di bigG focalizzando l’attenzione sul fatto che le immagini vengano mostrate nelle SERP del motore di ricerca e che, in seguito ad un click da parte dell’utente, non si raggiungano le pagine del proprio sito, ma si resti su quelle del gruppo di Mountain View. I link verso l’esterno in realtà ci sono (“Visita la pagina”), ma non sono ritenuti sufficienti. Ne consegue un minor traffico generato verso chi concretamente le ospita, con ripercussioni negative in termini di visibilità.
Getty Images è dunque una delle realtà che saranno informate e aggiornate dall’antitrust europea in merito alle indagini, con la possibilità di esprimere la propria opinione entro un determinato lasso di tempo. Più precisamente, il servizio punta il dito verso bigG per le modalità con le quali viene gestita la ricerca delle immagini.
… come un carosello nella parte superiore (o vicino alla parte superiore) delle pagine che mostrano i risultati Web generici. Google è riuscita a convogliare ancora più traffico verso di sé, creando un ambiente pensato per far sì che i visitatori non finiscano quasi mai sui siti che ospitano le immagini.
Nel mese di aprile Getty ha trovato un accordo con Microsoft, in seguito alla denuncia del settembre scorso, che puntava il dito verso un widget di Bing per l’inserimento nei siti di slideshow con le immagini provenienti da siti esterni. L’accusa era quella di includere senza alcune autorizzazione anche file protetti da copyright e appartenenti al servizio.
Abuso di posizione dominante
La dinamica finita sotto accusa è la stessa già presa in esame più volte, oggetto nell’aprile scorso delle accuse rivolte a bigG per abuso di posizione dominante, relative però ad altri ambiti: Google Shopping in primis e Android per quanto riguarda il settore mobile. Nel primo caso ad attirare l’attenzione dell’antitrust è stato il metodo di indicizzazione dei risultati, ritenuto sfavorevole per la concorrenza (vedere lo screenshot allegato di seguito), che finisce per slittare sotto i link verso i servizi di Mountain View. In tema Android, invece, sono prese in esame le clausole firmate dai produttori dei dispositivi per l’installazione del sistema operativo all’interno dei terminali.
Al puzzle, sempre più complesso e articolato, si aggiunge dunque oggi il tassello di Getty Images. Per Google l’ipotesi di una pesante sanzione non è stata scartata: si potrebbe arrivare fino al 10% del fatturato, che tradotto in termini monetari equivale a 6,6 miliardi di dollari. Per completezza, si ricorda che il market share del motore di ricerca nel vecchio continente supera il 90%.
La posizione di Google
La posizione del gruppo resta invariata: l’azienda focalizza l’attenzione sulle opportunità fornite dal proprio servizio anziché sui rischi per la libera concorrenza, mettendo in luce come per l’utente finale sia possibile accedere ad un numero di alternative di gran lunga superiore rispetto al passato. Inoltre, secondo bigG, il motore di ricerca non è più oggi l’unico modo per trovare e fruire dei servizi, complice la crescita esponenziale dei social network e l’arrivo nel panorama Web di colossi operanti nel segmento e-commerce, come Amazon o eBay.