Il Tribunale di Milano ha deciso, poco fa, che il servizio UberPop rimane sospeso in tutto il territorio italiano in seguito alla causa per concorrenza sleale promossa da alcune associazioni di tassisti. Questa non è la pietra tombale sulla multinazionale di ride sharing, ma certamente rappresenta un punto di tale difficoltà che ormai solo una liberalizzazione del settore può cambiare. Uber comunque promette battaglia.
Uber ha cercato di dimostrare che il suo operato non è in contrasto con le norme sulla concorrenza, ma evidentemente in queste ultime settimane si è davvero instaurata una corrente di pensiero legale che dà valore alla legge del 1992, nonostante sia per molti versi inapplicabile e necessiti di una profonda revisione. «Abbiamo cercato di dimostrare che non è così e che, anzi, un’apertura del mercato gioverebbe a tutti, operatori e consumatori», racconta Benedetta Arese Lucini a caldo dopo l’ordinanza. Che ha comminato delle spese processuali per 22 mila euro. Ora che fare?
Oggi abbiamo visto l’ennesima interpretazione delle norme di una legge del 1992 che governa ancora il sistema della mobilità italiana. Quelle stesse norme che sia per l’Authority dei trasporti che per quella per il Mercato e la Concorrenza andrebbero aggiornate anche rispetto alle innovazioni tecnologiche introdotte da applicazioni come la nostra.
Sono possibili nuove strade per difendere la sua attività? Uber Italia intende trovarle, assicurando di voler ideare nuove soluzioni in linea con i suggerimenti delle autorità. Aspettando magari che dalle parti di Roma qualcuno batta un colpo. Tutti sanno che la country manager italiana di Uber non è tipa da arrendersi facilmente.
Il problema della legge e della lobby
Tutto è incentrato sulla legge 21/1992, alla quale sempre si appellano i tassisti e che a quanto pare resta un riferimento anche per i giudici. Oggi ad esempio un giudice di Milano l’ha citata confermando una multa a un’autista di UberBlack colpevole di non essere partito dall’autorimessa. Questa legge sta impedendo la normale attività di Uber, nonostante sia stata oggetto di profonde modifiche ad opera dell’art. 29 della legge 207/2008, convertita l’anno successivo, e la cui efficacia è stata sospesa a seguito di successivi molteplici interventi normativi che hanno portato alla fine a demandare la disciplina ad un decreto interministeriale da adottare in conferenza Stato-Regioni entro la fine dell’anno.
Attualmente però il binomio tassisti-giudici di Milano (presso i quali spesso si orienta anche il Comune stesso) sembra davvero avere la meglio sull’applicazione, quindi c’è poco da immaginare: o il paese prende la strada della Francia oppure la politica deve fare uno sforzo in senso liberale e, quanto meno, iniziare con l’equiparazione taxi-NCC come previsto già nel decreto concorrenza prima dell’intervento dell’ex ministro Lupi. Poi resta in campo la questione ride sharing, più complessa, ma che si può ragionevolmente sistemare con interventi sulla garanzie dei driver e di Uber stessa dal punto di vista fiscale e del controllo.
Uber ha scelto in questi anni di puntare tutto sulla disruption e la stima dei suoi clienti nel mondo, ma forse deve cominciare a fare seriamente, ad alto livello, lobbying politica. I suoi avversari saranno anche antiquati in tutto ma non lo sono in questo, dove anzi sono molto più esperti.