A volte le rivoluzioni partono dal basso. Altre volte, come in questo caso, necessitano invece di una spinta. Ciò che sta accadendo in Russia, in un certo senso, ha del paradossale: uno dei maggiori produttori al mondo di petrolio e gas legifera in favore dell’auto elettrica, andando così potenzialmente contro i propri interessi a lungo termine. Eppure è quanto accaduto, con la norma approvata il 27 agosto dal governo guidato dal primo ministro Dmitry Medvedev.
L’esempio russo
La disposizione obbliga tutte le stazioni di servizio presenti sul territorio nazionale a dotarsi di una colonnina per la ricarica delle auto elettriche entro l’1 novembre 2016. I “benzinai”, dunque, hanno a disposizione poco più di un anno per adeguarsi e non andare incontro ad ammonimenti o sanzioni. Come si suol dire in questi casi, però, “fatta la legge, trovato l’inganno”. La documentazione approvata non contiene infatti alcun esplicito riferimento alla tipologia di impianto di cui dotarsi o alle sue specifiche tecniche, dunque è lecito presumere che una parte non indifferenze delle attività finirà per acquistare le soluzioni più economiche presenti sul mercato. La redazione del Moscow Times parla di stazioni in vendita a circa 1.500 dollari, che però impiegano fino a nove ore per la ricarica completa di una batteria senza assicurare standard qualitativi tali da garantire la salubrità dell’accumulatore collegato.
Dalle statistiche rilevate dall’agenzia locale Autostat emerge lo scarso interesse rivolto da parte della popolazione russa nei confronti delle automobili a propulsione elettrica: ce ne sono in circolazione solo 500 in tutto il territorio, nel 2014 ne sono state vendute 140 e nei primi sei mesi di quest’anno solamente 50. Alla luce di questi numeri, però, l’iniziativa messa in campo dalla squadra di governo risulta ancora più interessante. Non si tratta certo di una norma costruita per rispondere ad un’esigenza dei cittadini, fondamentalmente indifferenti di fronte ai vantaggi offerti dai veicoli EV, né tantomeno di una legge vista di buon occhio dai gestori delle stazioni di servizio, chiamati a far fronte ad una spesa aggiuntiva.
In Russia si è dunque scelto di accelerare la transizione verso una nuova tecnologia calando dall’alto una disposizione con tutta probabilità impopolare, una mossa talvolta necessaria in un’ottica di miglioramento della condizione generale a lungo termine. Solo il tempo decreterà il successo o il fallimento dell’iniziativa, a cui comunque va fin da ora riconosciuto il merito di provare a scardinare un dogma, quello che lega la mobilità russa alle tipologie di carburante presenti nel sottosuolo del paese, le più accessibili per la popolazione, ma anche le più inquinanti. Queste le parole di Yelena Burenina, portavoce della Moscow United Electric Grid Company:
Pensiamo che il nuovo decreto possa stimolare il mercato.
L’attuale situazione italiana
Focalizzando l’attenzione sul nostro paese, non ci sono progetti simili all’orizzonte. Impulsi di questo tipo arrivano per il momento esclusivamente da privati, con l’obiettivo di favorire la penetrazione del proprio marchio sul mercato nostrano. In tutta Italia ci sono circa 22.000 distributori di carburanti, secondo l’Osservatorio Autopromotec, ma tra questi meno di 800 offrono la possibilità di “fare il pieno” alle auto elettriche. Si tratta di una quota inferiore al 4%, ancora troppo bassa per poter definire la rete stradale italiana pronta alla rivoluzione EV. Inoltre, la distribuzione delle colonnine non è uniforme lungo lo Stivale e anche questo costituisce un ostacolo non di poco conto: senza uniformità di presenza sulla rete viaria non è possibile garantire approvvigionamento a quanti intendono affrontare viaggi a lunga percorrenza.
Chi oggi sceglie di acquistare una vettura di questo tipo deve innanzitutto tener conto dell’utilizzo che ne andrà a fare. Se si tratta di spostamenti relativamente brevi, ad esempio da casa all’ufficio e viceversa, il problema può essere risolto effettuando la ricarica della batteria durante la notte, altrimenti sulle lunghe percorrenze si rischia di rimanere “a secco” con troppa facilità. Ecco spiegato perché, a differenza dei veicoli elettrici, quelli ibridi sembrano aver ricevuto un’accoglienza migliore da parte dei nostri connazionali, attenti a salvaguardare la propria libertà di spostamento a fronte di tecnologie che incuriosiscono ma che ancora devono scontrarsi con carenze infrastrutturali fortemente penalizzanti.
Un’evoluzione inevitabile
Un giorno i veicoli elettrici o spinti da motori a zero emissioni, saranno gli unici a poter circolare all’interno dei centri abitati. Poi la restrizione verrà applicata anche alle aree periferiche e infine all’intero territorio nazionale, esattamente come avvenuto nel corso degli ultimi decenni con la spinta verso la rottamazione delle vetture inquinanti. È solo questione di tempo. Quanto, dipende da diversi fattori: abbassamento generale della spesa necessaria per acquistare un’auto elettrica, costo della manutenzione ordinaria e straordinaria, autonomia e affidabilità delle batterie equipaggiate e diffusione delle stazioni per la ricarica. Solo agendo su questi elementi si può pensare di stimolare realmente l’interesse dell’automobilista nei confronti della nuova tecnologia. Serve una risposta tecnologica e una di sistema, che vadano a braccetto per innescare un meccanismo virtuoso.
Tornando alla questione russa, il paese presenta un altro problema non di secondaria importanza: trattandosi di un territorio in cui le temperature si fanno particolarmente rigide, soprattutto durante la stagione invernale, bisogna fare i conti anche con l’influenza negativa esercitata dal freddo sulla durata e sulle prestazioni delle batterie. La Norvegia ha comunque dimostrato come la difficoltà possa essere gestita: secondo Reuters, nel mese di aprile, il numero totale di veicoli elettrici in circolazione sulle sue strade ha superato le 50.000 unità.
Il dato testimonia quanto, oltre al supporto da parte di organismi nazionali e istituzioni, sia necessario un balzo culturale da parte di coloro ai quali spetta la decisione finale sulla tipologia di veicolo da acquistare e utilizzare quotidianamente: gli automobilisti. Contribuire alla creazione di un sistema di mobilità più sostenibile significa investire sul futuro in maniera lungimirante, a beneficio non solo di se stessi, ma anche della collettività. Uno sforzo che solamente se congiunto può dare i suoi frutti, sebbene difficilmente nel breve periodo. Una classe politica che sappia abbracciare una scelta di questo tipo lascerà una traccia indelebile all’interno di un percorso praticamente inevitabile, pur se ancora privo di una timeline certa.
Si tratta a tutti gli effetti di dover abbracciare una nuova filosofia, lasciandosi alle spalle un passato divenuto inevitabilmente parte integrante della concezione di viaggio per milioni e milioni di persone. Il futuro è dietro l’angolo, ma per raggiungerlo serve l’impegno di tutti.