Lo streaming legale di contenuti cinematografici potrebbe essere ancora lontano dal battere, o quantomeno ridurre sensibilmente, la pirateria online di film. È l’ultima indicazione, in controtendenza rispetto alle rilevazioni negli ultimi anni, proveniente dall’Australia: secondo l’Intellectual Property Awareness Foundation (IPAF), vi sono segni incoraggianti, ma i servizi legali non avrebbero ancora appeal sui downloader più aggressivi.
L’universo della fruizione domestica di contenuti cinematografici è in veloce cambiamento: da Netflix ad Amazon, passando per Google e Apple, sono molte le alternative legali, anche dai costi mediamente contenuti. Dall’ultima tranche di ricerche dell’IPAF, presentate in occasione dell’Australian International Movie Convention, lo streaming legale non ha però ancora vinto la sua battaglia contro la pirateria. Sebbene i servizi commerciali dimostrino di poter ridurre la frequenza e l’incidenza del download illecito, in particolare per i casual user, il 40% dei download abituali sta scaricando oggi più contenuti illegali di quanto non accadesse 12 mesi fa. Così ha spiegato Lori Flekser, direttrice esecutiva di iPAF:
Sono sempre rimasta molto cauta sull’idea che i servizi di streaming, come Netflix, siano la panacea alla pirateria, perché sappiamo dalle nostre ricerche che la ragione principale per cui le persone vi ricorrono è il fatto sia gratuita. Non vi è nessun prezzo che tenga.
Le ricerche sono ovviamente relative al mercato australiano, in particolare a seguito dell’introduzione di normative più stringenti sul download illegale, ma i frutti di questo impegno non sarebbero ancora pienamente ravvisabili. I dati dimostrano che, nel continente, gli abbonamenti ai servizi di streaming siano saliti dal 26% del 2014 al 32% del 2015, con il 33% degli utenti invitati dal periodo di prova gratuito e il 66% pronto a rinnovare in futuro la sottoscrizione. Fra coloro che affermano di ricorrere meno alla pirateria grazie ai servizi di streaming, il 33% indica in servizi legali come Netflix la ragione del cambio d’abitudine, mentre un 16% ammette di aver paura di essere scoperto e il 13% adduce motivazioni di tempo. Scende quindi il numero di persone fra i 18 e i 24 anni che si rivolge alla pirateria, dal 54% al 46% nel giro di un anno, così come fra i 25 ai 34 anni, dal 48 al 40%. Fra i 35 e i 49 anni, invece, il dato non subisce variazioni nel tempo. L’effetto calmierante, tuttavia, si manifesta su chi si rivolge al mercato illegale sporadicamente, mentre fra i cosiddetti “hardcore downloader” non si rivelerebbero cambiamenti di sorta: il numero di utenti si riduce, ma la quantità di film piratati aumenta.
Come giù accennato, questi dati si riferiscono al mercato australiano e, in linea generale, tendono a essere più cauti rispetto ad altre rilevazioni internazionali, dove il recupero degli utenti dall’illegalità vede proprio nello streaming uno dei maggiori alleati. L’esperienza australiana, però, è utile anche per capirne le motivazioni, sebbene non rilevate direttamente nell’indagine. Basta scorrere velocemente i social network, infatti, per scoprire dagli stessi utilizzatori due motivazioni da non sottovalutare. La prima potrebbe essere ricondotta al problema della quantità: i servizi di streaming puntano su cataloghi immensi di film, ma le nuove uscite o i film cult rimangono in minoranza, un fatto che potrebbe incentivare attività illecite. Inoltre, in molti lamentano una parcellizzazione dell’offerta: a differenza dello streaming musicale, dove l’utente trova contenuti delle più svariate case discografiche indipendentemente scelga Spotify o altre piattaforme come Apple Music, per i film e le serie TV la questione diritti si fa più pressante. Così, il consumatore finale si vede costretto ad abbonarsi a più servizi contemporaneamente, poiché la serie preferita è su Netflix ma il film del cuore su Amazon, vedendosi aumentare esponenzialmente la spesa mensile. Un fatto che, sostengono i social, potrebbe alimentare alternative fuori dal mercato.