Se ci si ferma a riflettere pensando al concetto di mobilità, oggigiorno, tra le prime cose a cui corre la mente sono il proprio veicolo e il proprio modo di viaggiare, con tutti i pro e contro annessi. È normale, la naturale conseguenza di decenni in cui per spostarsi dal punto A al punto B ci si è affidati prevalentemente ad un’automobile di proprietà. In futuro non sarà più così e le modalità di utilizzo delle quattro ruote evolveranno in modo da acquisire dinamiche più simili a quelle che attualmente regolano il funzionamento dei mezzi pubblici. Questo grazie alle innovazioni introdotte dalla tecnologia, che dovranno però necessariamente essere accompagnate da un passo in avanti dal punto di vista culturale.
Se la direzione sembra essere assodata e condivisa, meno lo sono le modalità. Quanto tempo ci vorrà, dunque, prima di ritrovarsi sotto gli occhi una mobilità del tutto nuova, così da portarci col senno del poi a identificare un’avvenuta rivoluzione?
Mobilità e software
L’argomento è stato affrontato in maniera approfondita da Christian Fritz, leader del gruppo Representation and Planning di PARC (Palo Alto Research Center), centro di ricerca Xerox. Il suo team si pone come obiettivo principale lo sviluppo di software progettati su misura per soddisfare le esigenze del mercato. Di recente il focus si è concentrato sulle applicazioni relative alla produzione digitale e ai trasporti urbani, due ambiti all’interno dei quali Fritz ipotizza l’avvento di vere e proprie rivoluzioni entro un periodo compreso fra cinque e dieci anni. Alcune di queste saranno legate, ad esempio, ai sistemi delle stampanti 3D e alla guida autonoma.
Particolarmente interessante la risposta fornita alla domanda relativa alle modalità con le quali il sistema dei trasporti sia destinato ad evolvere in una sorta di software o servizio.
Succederà per gradi. Una volta che le cose inizieranno a prendere forma il processo di trasformazione diventerà sempre più rapido. L’infrastruttura sta già mettendo radici. I servizi di “ride sharing” come Uber e Lyft prelevano il passeggero dal punto di partenza e lo portano a destinazione. Altri come Bridji e RidePal aggregano persone in un punto di ritrovo per condurle agli appuntamenti di lavoro. I taxi privati e i trasporti pubblici si basano su dinamiche simili, ma mancano della flessibilità e del modello economico che invece caratterizzano questi nuovi modelli di business.
Inevitabile il riferimento a Uber e agli altri servizi di sharing, in cui appunto il concetto di vettura di proprietà viene rimpiazzato, facendo posto a sistemi condivisi, accessibili con modalità smart, sfruttando i sistemi di comunicazione offerti dal Web e la comodità delle tecnologie mobile. Per capire quali siano le reali potenzialità di questi servizi è sufficiente pensare a come la loro nascita e crescita, da startup a colossi del settore, sia stata finanziata e favorita da alcuni big del settore automotive.
Viaggiare, un servizio
Intendere la mobilità come servizio, dunque, un cambiamento radicale rispetto a ciò che è stato finora, già avviato forse in modo inconsapevole da parte della collettività: sempre più persone, ad esempio, si affidano al car sharing per muoversi in ambito urbano, lasciandosi alle spalle l’obbligo di sostenere le spese relative ad assicurazione, bollo e manutenzione dell’auto. È un primo passo nella direzione pronosticata da Fritz, verso un nuovo modo di concepire gli spostamenti su quattro ruote.
Una spinta decisiva verso una nuova era del mondo automotive, secondo il suo parere, inizierà tra cinque anni, con il debutto su strada delle prime self-driving car (attualmente in fase di test) messe a disposizione dell’utenza. Poi, entro il 2025, le persone avranno cambiato in modo significativo le proprie abitudini e consuetudini, rendendo di fatto il concetto di proprietà della vettura sempre più obsoleto e destinato a scomparire in un’ottica ancora più lungimirante. Tutto questo senza dimenticare tecnologie come quelle legate ai sistemi V2V (vehicle-to-vehicle).
Il concetto di “mobility-as-a-service” è destinato insomma a permeare poco per volta la cultura e la percezione condivisa della mobilità. Quando il nuovo concetto sarà completamente metabolizzato a livello sociale, la rivoluzione avrà la strada spianata.
Serve uno sforzo congiunto
Per parlare di una mobilità che possa realmente definirsi innovativa non ci si può limitare a considerare l’utilizzo di software e applicazioni. Il cambiamento ipotizzato (e auspicato) da più parti, seppur già in atto, potrà giungere a completamento solo con l’impegno e la volontà di tutte le parti in gioco. Gli automaker, innanzitutto, dovranno prendere in considerazione le esigenze di un mercato pronto ad affrontare un’importante evoluzione, slegando almeno in parte la propria attività da quelle che sono state le priorità per oltre un secolo, ovvero conquistare la fetta più grande del mercato vendendo il maggior numero possibile di vetture. Le amministrazioni e gli organi legislativi sono chiamati a fare la loro parte, adattando alle nuove esigenze una normativa attualmente in vigore spesso lacunosa quando si tratta di confrontarsi con le moderne tecnologie.
Le città stesse e le infrastrutture della mobilità (si pensi ad esempio alla segnaletica) dovranno rinnovarsi per sostenere una nuova idea di viaggio e spostamento, altrimenti rischieranno di rappresentare il collo di bottiglia in un percorso potenzialmente rivoluzionario. Come ultimo fattore, ma di certo non meno importante, l’utente finale non potrà esimersi dal rivedere le proprie abitudini, la routine alla quale è storicamente legato. Gli spostamenti in auto saranno un’esperienza condivisa, così come oggi lo è la fruizione di qualsiasi altro servizio aperto al pubblico.
I vantaggi sono ovvi: abbattimento del traffico e di conseguenza delle emissioni nocive, tempi necessari per giungere a destinazione ridotti, maggiore sicurezza per la collettività (grazie soprattutto alla guida autonoma) e cancellazione dei costi per l’acquisto e il mantenimento dei veicoli. Se tutto questo avverrà realmente entro un decennio, al momento è difficile da stabilire. Con tutta probabilità le tempistiche varieranno anche in base ai singoli contesti, rivelandosi più brevi nei territori storicamente propensi ad accogliere l’innovazione e maggiormente dilatate laddove invece la cittadinanza fatica ad aprirsi verso novità e cambiamento. Una cosa è certa: l’evoluzione è già in atto, il cambiamento è inevitabile e irreversibile.