Gli attacchi messi a segno nella serata di venerdì a Parigi sono costati la vita ad oltre 130 persone. Un’azione coordinata, che ha richiesto una fase preparatoria su cui le autorità francesi e internazionali stanno cercando di fare chiarezza. Stando a quanto dichiarato da Jan Jambon, Ministro degli Affari Interni belga, uno dei mezzi di comunicazione utilizzati dai terroristi per la loro organizzazione sarebbe costituito dalla PlayStation 4.
La console di Sony, dunque, la piattaforma videoludica scelta ogni giorno da milioni di giocatori di tutto il mondo per trascorrere il proprio tempo divertendosi, da soli o in compagnia. Un sistema difficilmente tracciabile, a causa dei numerosi strumenti che offre per mettersi in contatto con gli altri iscritti al servizio PSN: non solo chat vocali o messaggi, ma anche l’interazione in-game, ovvero all’interno dei titoli.
La redazione di Forbes ricorre a due esempi per far capire in che modo i membri dell’ISIS avrebbero potuto sfruttare PS4 per stabilire obiettivi e modalità operative: in uno sparatutto come Call of Duty si potrebbe scrivere un messaggio su qualsiasi parete con una raffica di colpi, cancellandone ogni traccia dopo alcuni secondi. Lo stesso vale per tutti quei giochi che includono un editor di livelli da condividere privatamente con un amico. Queste le parole di Jambon.
La PlayStation 4 è ancora più difficile da tracciare rispetto a WhatsApp.
Nel 2010 l’FBI ha chiesto di poter monitorare le comunicazioni tra utenti su PS4 e Xbox One, ma la FCC (Federal Communications Commission ) ha negato il permesso. NSA e CIA già da tempo tengono d’occhio titoli come World of Warcraft, alla ricerca di comportamenti potenzialmente pericolosi. In altre parole, mentre l’intelligence ricorre a mezzi tecnologicamente sempre più avanzati per combattere la minaccia del terrorismo, chi organizza gli attacchi si affida a sistemi semplice, basilari, alla portata di tutti come una piattaforma per il gaming: nascondersi alla luce del sole, confondersi tra le masse, laddove l’identificazione di un rischio si trasforma nella proverbiale ricerca dell’ago nel pagliaio.
Quanto accaduto nella capitale francese riporta in auge l’eterna discussione sull’esigenza di trovare un equilibrio tra il diritto alla privacy degli utenti e le necessità di chi vorrebbe monitorare la Rete come sistema di prevenzione. A chi si occupa di stabilirlo spetta il non semplice compito di agire in modo lucido, razionale, senza subire le pressioni dell’opinione pubblica, né in un momento come quello attuale in cui sono la paura e il timore di nuovi attacchi a dominare il sentimento comune, né quando si alzano polveroni come quello mosso negli anni scorsi dal datagate.