Quel che è successo ieri sera mentre mezza Italia stava seguendo in tv Juventus-Fiorentina, è che l’altra mezza Italia collegata al televisore stava assistendo ad un rovesciamento del tavolo tra la televisione e il Web. Succede tutto nel giro di poche ore a seguito dell’iniziativa con cui il team comunicazione Eni ha rovesciato le regole del confronto per come la tv lo ha pensato, organizzato e imposto per decenni. Succede che improvvisamente la tv ha perso una delle sue peculiarità all’interno di un passaggio forse storico per la sua evoluzione. Succede che, per la prima volta, non è la tv a dettare la sentenza finale: il giudice dell’opinione pubblica è altrove.
Report vs Eni
Il tutto inizia con l’approfondimento di Luca Chianca “La trattativa“, nella puntata di Report del 13/12, che così introduce lo stesso team della trasmissione televisiva:
Report ha cercato di ricostruire il percorso di quella che si sospetta essere una delle più grosse tangenti mai pagate al mondo. Parliamo di circa un miliardo di dollari che l’Eni avrebbe sborsato per l’acquisto della licenza per sondare i fondali marini del blocco petrolifero denominato Opl245 in Nigeria
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Una trattazione breve e intensa, nella quale si snocciolano dati e fonti per arrivare a formulare l’ipotesi di una maxi-tangente tra l’Italia e la Nigeria attraverso vari passaggi e faccendieri. La prassi solita vuole chiudere la discussione con la fine dell’approfondimento, spostando il dibattito sui giornali e nei bar del giorno dopo quando l’opinione pubblica ha spesso già plasmato una precisa opinione di difficile confutazione. La prontezza di Eni è stata però in questo caso provvidenziale nel non lasciar attecchire alcuna opinione precostituita ed improvvisamente è nato un confronto laddove era previsto invece soltanto un messaggio unidirezionale: mentre Report accusava in tv, Eni rispondeva su Twitter.
Il primo tweet è delle ore 21.52, il momento esatto nel quale il tavolo è stato rovesciato: mentre in tv il processo prendeva forma, su Twitter la difesa aveva già messo le proprie argomentazioni all’interno di una completa e chiara infografica con i colori del cane a sei zampe:
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Ed era solo l’inizio: oltre un’ora di tweet hanno seguito la trasmissione, così che i telespettatori abituati a vivere la tv a cavallo tra due schermi potessero vivere in contraddittorio in questa forma ibrida e innovativa. 21.58, 22.00, 22.02, 22.05, 22.06, passando per la serie finale delle 22.37, 22.38, 22.39, 22.42 e così via fino alle 22.56 ed alle ulteriori risposte fornite ai tweet di commento.
Alle 23.38 il primo tweet di risposta di Milena Gabanelli, il volto storico di Report, che accetta la sfida e sposta su Twitter la propria firma. Firma, però, farlocca: l’account risulta essere fasullo, costringendo Rai Tre ad una rettifica con 24 ore di ritardo. Il quelle 24 ore anche un tweet fake ha però contribuito al dibattito, rafforzando l’immagine di un Report non strutturato adeguatamente per una reazione sui social.
«I programmi di inchiesta non sono talk show», diceva il tweet fake. Ma improvvisamente lo sono diventati. Nel momento in cui Eni affida a Twitter le proprie risposte, Report termina di essere un medium uno-molti e viene ad assumere (probabilmente controvoglia) una forma partecipata. Ed Eni improvvisamente si trova con il timone tra le mani, potendo condurre le danze all’interno di una vicenda spinosa e sulla quale non intende lasciare spazio a confusioni.
Il tavolo è rovesciato
Il tavolo è definitivamente rovesciato nel giro di pochi minuti, ma il tutto altro non è se non la conseguenza diretta di un braccio di ferro che va avanti da tempo (“anni”, secondo Milena Gabanelli). Prontamente Report ha infatti pubblicato la mail con cui Eni rifiuta l’intervista sul tema OPL245, elemento chiave che traccia un solco tra le parti. Ognuno, di fatto, è dalla parte della ragione: da una parte chi conduce l’inchiesta rivendica il diritto di portare avanti l’approfondimento a modo proprio, secondo il proprio format e secondo le proprie regole; dall’altra l’oggetto dell’inchiesta rivendica il diritto di difendersi secondo le proprie possibilità, evitando di lasciare alla controparte il controllo del messaggio verso il pubblico. Un tweet di Marco Bardazzi, responsabile della comunicazione Eni, nega anche il rifiuto alla discussione diretta dei temi trattati:
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Le parti sono così rimaste separate e il messaggio dell’inchiesta è stato partorito su due fronti differenti: in tv prima e su Twitter immediatamente dopo. La corsa degli autori e della stessa Rai Tre alla contromossa non è stata altrettanto efficace, poiché disorganizzata ed improvvisata: gli interventi privati contro le deduzioni dell’account Eni.com non hanno fatto breccia, limitandosi a rilanciare le accuse, a difendere il proprio modus operandi ed a rivendicare un mai contestato diritto all’approfondimento.
Quel che appare ad occhi esterni è che la tv ha trasmesso una inchiesta smontata da un fact checking in tempo reale organizzato dalla controparte. Un fact checking mirato, preciso: non un semplice tweet di risposta, ma una vera e propria disamina continua che equivale ad una presenza in studio del gruppo:
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Un precedente che cambia le cose
Eni ha creato un precedente. D’ora innanzi gli autori televisivi non potranno più limitarsi alla compilazione del proprio messaggio, in qualche modo tutelato dal mezzo tv (che consente di confezionarlo ad hoc, trasmetterlo senza contraddittorio ed incidere sull’opinione grazie a orari e modalità di trasmissione), ma dovranno prepararsi ad un’arena più aperta di confronto. Soprattutto le trasmissioni di inchiesta non potranno più negarsi al “secondo tempo” online, altrimenti l’accusa sarebbe rovesciata: troppo facile formulare accuse senza poi essere disposti a difenderle nel merito sui canali che ospitano la discussione.
Perché questo è quel che succede: se in passato erano i giornali del giorno dopo ad dar vita all’arena del dibattito, ora è il Web a dar vita a questo confronto. Non sempre gli accusati avranno la capacità, l’organizzazione e la prontezza di organizzare una risposta come quella Eni, ma è ora chiaro a tutti che le regole del gioco sono cambiate. Un esempio similare è quello della campagna presidenziale USA: i tweet in diretta di Hillary Clinton a commento delle primarie repubblicane sono state la trasposizione del medesimo effetto in campo politico, ma la matrice è la medesima: la tv ha perso la possibilità di avere l’ultima parola e d’ora innanzi dovrà prendere atto della cosa. Nonché pagarne pegno.
Il secondo schermo trova una propria dignità: trasforma una inchiesta in un talk show ibrido, sposta gli occhi degli utenti dalla tv al tablet/smartphone e soprattutto sposta il baricentro del messaggio presso luoghi che la tv non può più controllare con regole proprie. Così facendo Eni ottiene un risultato fondamentale, ossia instillare il beneficio del dubbio all’interno di un bacino particolare di persone: sono quelli che guardano la tv con un altro dispositivo in mano, quelli che vogliono saperne di più, quelli che non si accontentano della versione ricevuta, ma vogliono formarsi un’idea attraverso una ricerca e un approfondimento propri.
Report ha portato avanti una battaglia come da proprio marchio di fabbrica, ma sul fronte opposto ha trovato un gruppo che da tempo ha trovato la forza e la volontà di aprirsi e raccontarsi. Eniday prima, una pagina Facebook poi e la battaglia contro Report infine sono il risultato di un nuovo modo di pensare la comunicazione corporate. Scrivendo così, forse senza averne reale consapevolezza, una nuova pagina della storia della televisione.