Alzare l’età minima per usare i social network dai 13 ai 16 anni. Una soglia che pur non essendo obbligatoria è nel nuovo testo che già nelle prossime settimane potrebbe diventare una legge europea e lascerà ai singoli stati membri la decisione se restare con gli standard americani oppure adottarne più restrittivi. Bella pensata, per un continente dove mancano 700 mila posizioni lavorative nell’Ict, quella di preoccuparsi dell’età minima per usare un social network, spostandola molto oltre la naturale disposizione delle nuove generazioni.
La proposta è frutto di un compromesso dei governi del Consiglio europeo con la Commissione nell’ambito della discussione sull’EUDataProtection. Il testo stabilisce di portare da 13 a 16 anni il consenso individuale al trattamento dei dati personali, causando così una istantanea espansione della patria potestà per l’uso di Facebook, Instagram, Snapchat, Twitter, persino Gmail, in fasce d’età che ad oggi non avevano certo avuto bisogno di mamma e papà, essendo generalmente accettato lo standard americano che stabilisce l’età minima (13 anni) per l’uso di questi siti e poi propone una serie di parental control.
Fehlinterpretation: Facebook weiter für Unter-16-Jährige nutzbar https://t.co/LHkZQxLuCB #EUdataP
— Jan Philipp Albrecht (@JanAlbrecht) December 16, 2015
Con la proposta europea, promossa dal deputato verde tedesco Jan Philipp Albrecht, si crea invece una situazione per cui, teoricamente e sempre che da qui al 2018 le cose restino immutate, nell’età tra i 13 e i 16 anni ci sarà bisogno del consenso informato di chi esercita la patria potestà del minore. Fin troppo ovvia la motivazione che sorregge questo concetto: il controllo, l’ansia per il cosiddetto (e sovrastimato) cyberbullismo. Niente di cui stupirsi in un’epoca in cui l’opinione pubblica applaude i progetti di sorveglianza e spionaggio di Stato in nome della sicurezza. Dietro questa proposta però si sente una più sotterranea corrente di pensiero che periodicamente emerge come un fenomeno carsico.
La zona grigia
Alcuni commentatori ritengono che non ci sia nulla di allarmante perché l’esplicito consenso dei genitori degli under 16 è soltanto facoltativo: ogni singolo stato membro avrà la possibilità di stabilire un proprio limite compreso tra i 13 e i 16 anni, anche mantenendo quello attuale. Questo però non significa affatto che i governi lasceranno il limite più basso. La non-decisione pilastesca della Commissione avvalora una certa corrente di pensiero colpevolista del web e deresponsabilizza tutti: l’UE dirà che ogni stato ha libertà di scelta, gli stati diranno che è una indicazione europea. E in questa zona grigia si muovono più volentieri le correnti di pensiero superficiali, quelle che accusano i social e puntano l’indice contro i giovani, igiene del mondo che hanno i vecchi e chi pensa in modo antiquato. Cioè il lato peggiore della politica europea.
In Italia si dice di peggio
Al netto delle complicazioni per le aziende e gli utenti derivanti da un innalzamento così sensibile della maggiore età per aprire un account, che produrrebbe una gran quantità di informative e tools nuovi per riuscire a risponderne, basta ascoltare l’audizione su Privacy e cyberbullismo tenutasi due giorni fa alla Camera alla commissione Giustizia e Affari Sociali per capire come questa facoltà si inserisce in contesti nazionali – come quello italiano – dove si riesce a concepire persino di peggio in termini di controllo, di indifferenza alla libertà di espressione, in nome del contrasto all’hate speech o ad altri fenomeni soggettivamente importanti. D’altra parte siamo il paese del glossario delle devianze sul web.
Cittadini ignoranti o consapevoli?
Il rifugio-rifiuto di questa norma sugli under 16 è di ostacolo allo sviluppo economico europeo, andrebbe messa in un museo dell’orrore anti-web di questa epoca confusa, spaventata. Un’altra voce del rumore dei nemici. Neppure le statistiche note a tutti, che dicono che due tredicenni su tre sono già iscritti ai social network, fermano coloro che ancora pensano si tratti di un territorio pericoloso senza capire che invece è la dimensione immateriale di una esistenza che si scriverà da sola le proprie regole.
È la solita competizione tra chi pensa che l’ordine sociale è stabilito da cittadini un po’ ignoranti ed educati gradualmente, e chi ritiene che solo la consapevolezza porta ad usare meglio gli strumenti che la storia e anche la casualità ci pongono tra le mani.
Sarebbe stato bello vedere la Commissione Europea dalla parte giusta.