L’universo dello streaming non sta modificando solo le modalità di fruizione dei contenuti televisivi, ma sta anche instaurando nuovi bisogni fra gli spettatori. E mentre il New York Times sottolinea come lo streaming debba essere addirittura considerato un genere a se stante, poiché le produzioni seguono trame e riprese inedite per la classica TV, una ricerca condotta da Clearleap potrebbe mettere i tradizionali network sull’attenti. La società, specializzata in video digitali, ha infatti condotto una survey su giovani e giovanissimi negli stati uniti, scoprendo come a queste categorie di utenti la TV addirittura non serva. Sia essa intesa come elettrodomestico o, più in generale, come insieme di produzioni, network e contenuti.
Il mercato statunitense dello streaming è certamente peculiare da analizzare, poiché uno dei primi a svilupparsi e, non ultimo, quello dal maggior numero di utenti. Nel corso del 2015 ormai giunto al termine, servizi come Netflix, Amazon Video e Hulu hanno praticamente eguagliato gli abbonamenti alla pay-tv in numero di abbonati, tanto da costringere le stesse emittenti a fornire servizi analoghi pur di non perdere clienti. Ma quella dei network appare una rincorsa affannata, soprattutto se si considera il bacino dei giovanissimi.
Clearleap ha intervistato un campione rappresentativo di 1.111 consumatori statunitensi, scoprendo come il 71%, ovvero sette utenti su dieci, abbia fatto ricorso a un servizio di streaming nell’ultimo anno. Si tratta di una percentuale pericolosamente vicina agli abbonamenti alla pay-tv canonica, molto diffusa in USA per via della diffusione via cavo, capace di conquistare il 79% degli abbonati. Una crescita, quella dello streaming, che ha lasciato gli stessi network spiazzati, tanto che negli ultimi 12 mesi sono apparse le più svariate piattaforme autoctone, forse per evitare che l’aumento della popolarità di Netflix e affini si traduca in un vero e proprio esodo.
Non è però tutto. Lo streaming conquista soprattutto le nuove generazioni, in particolare i Millennials, ovvero coloro compresi genericamente tra i 18 e i 34 anni. Di questi, oltre il 70% è abbonato a un servizio di streaming, mentre “solo” il 64% ha optato per la pay-TV. Inoltre, un quarto del campione (26%) non ha mai sottoscritto un abbonamento di pay-TV e non sembra essere interessato a farlo.
Emerge inoltre, così come già anticipato, come questa fascia di consumatori non abbia di fatto bisogno della TV, intesa sia come televisore che come emittenti. Il 58% degli intervistati approfitta dello streaming sul proprio laptop, il 39% sullo smartphone, il 30% si divide tra tablet e set-top box, mentre il 22% ricorre alle console. Naturalmente, questi dati sono da intendersi cumulativi, quindi con percentuali oltre al 100%, poiché l’utente laptop può usare contemporaneamente sia il computer che lo smartphone, e così via. Il risultato evidente è come si riduca il monte di consumatori, ad esempio quelli su set-top-box e console, che ricorrono al televisore anche come semplice schermo, mentre aumenta il bacino dei device.
Sempre a livello cumulativo, sono poi i film ad avere la meglio. Il 67% approfitta di lungometraggi quando accede ai servizi di streaming, seguito da un 48% di canali premium live, quindi un 41% tra canali generalisti e a pagamento. Di questi, il 28% si dichiara molto interessato allo sport online.
Particolarmente interessante è anche la soglia di prezzo: quasi la metà dei Millennials, circa il 43%, sarebbero disposti a pagare dai 10 ai 25 dollari mensili per una piattaforma di streaming completa, un costo stimato più alto rispetto agli attuali abbonamenti. David Mowrey, vicepresidente del product management di Clearleap, spiega come il trend non mostri segni di cedimento: lo streaming continuerà a crescere senza sosta anche nei prossimi mesi. Come reagiranno, di conseguenza, le comuni emittenti?