Apple verserà 318 milioni di euro al Fisco italiano. È quanto ha rivelato in mattinata Repubblica, specificando come l’azienda californiana abbia raggiunto un accordo a seguito della contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di 880 milioni di euro in Ires tra il 2008 e il 2013.
La vicenda si è aperta la scorsa primavera, quando nel mese di marzo la Procura di Milano aveva inviato tre avvisi di garanzia per accertare l’omissione del versamento dell’Ires. Nodo del contendere il gap tra le vendite reali, stando a quanto riferisce il Corriere da un miliardo di euro, e i ricavi da 30 milioni. La società di Cupertino ha così trovato l’accordo con il Fisco e con la richiesta di un versamento superiore ai 300 milioni di euro, 318 per l’esattezza.
Secondo quanto riportato dai quotidiani nazionali, Apple avrebbe fatturato in Irlanda, dove vige un sistema di tassazione più vantaggioso, anche le vendite effettuate sullo Stivale. Repubblica, infatti, spiega come le vendite non venissero gestite da Apple Italia srl, società a quanto sembra con ruolo di consulenza, bensì da Apple sales International, dal 2012 Apple distribution International.
Proprio in merito alla tassazione a cui Apple è soggetta nei vari paesi mondiali, pochi giorni fa è intervenuto direttamente Tim Cook, CEO della società di Cupertino. In occasione di un’intervista con Charlie Rose per “60 Minutes”, Cook aveva risposto ad alcune critiche emerse negli USA sulle tasse versate dal gruppo, specificando come alcune accuse fossero mosse da livore politico. «Paghiamo più tasse in questa nazione che chiunque altro», aveva specificato il CEO, sottolineando come la Mela fosse felice di corrispondere quanto di dovuto allo Stato. Non senza un giudizio al sistema di tassazione a stelle e strisce, considerato ormai obsoleto per l’era digitale:
Il sistema è stato creato per l’era industriale, Charlie, non per quella digitale. Si sarebbe dovuto rivisitare molti anni fa.
In merito alle critiche per i 180 miliardi di dollari che Apple deterrebbe all’estero, Cook ha spiegato come l’azienda desideri rimpatriarli negli States, ma l’imposizione fiscale al 40% renderebbe l’intervento complesso e non conveniente.