Apple, FBI e protezione della privacy: le polemiche continuano. E a rendere il clima ancora più acceso, dopo le dichiarazioni della Casa Bianca, giunge anche Donald Trump, candidato per la futura presidenza degli Stati Uniti. Il politico ha deciso di schierarsi in favore delle agenzie governative statunitensi, accusando duramente il gruppo di Cupertino: «Chi credete di essere?». Eppure la questione è molto più delicata di quanto si pensi, tanto che la società californiana ha ricevuto il supporto anche del concorrente Google.
La vicenda è ormai ben nota. Una corte statunitense ha richiesto ad Apple di fornire adeguato supporto all’FBI per estrarre, da un iPhone 5C appartenuto a un attentatore della sparatoria di San Bernardino, alcuni dati personali. Da iOS 8 e successivi, tuttavia, Apple non conserva le chiavi personali per decodificare la crittografia, di conseguenza non può provvedere ad alcuno sblocco. Così è stato richiesto che il gruppo fornisca aiuto per bypassare le procedure di inizializzazione automatica o, in alternativa, che rimuova il limite massimo di password errate per tentare un accesso brute-force. La Mela, con una lettera aperta sul suo sito ufficiale, si è però opposta a queste richieste, poiché fornire una sorta di backdoor anche per un solo dispositivo potrebbe rappresentare un rischio per tutti gli utenti targati mela morsicata. La sicurezza nazionale, così come Tim Cook aveva già confermato in passato, non può quindi essere difesa a discapito della legittima privacy dei consumatori.
Donald Trump ha voluto intervenire sulla questione, così come riporta Politico, con toni decisamente accesi. Così ha riferito il candidato presidenziale:
Sono al 100% con le corti. Chi si credono di essere? Devono aprire quell’iPhone. […] Credo che, nel complesso, per sicurezza dobbiamo aprirlo, dobbiamo usare le nostre teste. Dobbiamo usare il buon senso.
Eppure, la questione non sembra trovare una così semplice risoluzione. Apple, ma anche le altre società tecnologiche che si stanno schierando nelle ultime ore, sottolinea come un metodo di sblocco o una backdoor sarebbero “troppo pericolose per essere create”. Nel frattempo, diversi analisti a stelle e strisce spiegano come la vicenda in corso potrebbe creare un rischioso precedente, dove le società tecnologiche potrebbero essere costrette a una sorta di monitoraggio degli utenti, questione che legalmente non può competere a un’azienda di prodotti consumer. Così ha inoltre ribadito Cook:
Opporci a questo ordine non è qualcosa che prendiamo alla leggera. Sentiamo che dobbiamo parlare poiché riteniamo il governo statunitense si sia spinto oltre. Ci opponiamo alle richieste dell’FBI con il più profondo rispetto per la democrazia americana e con amore per la nostra nazione. Crediamo che sarebbe nell’interesse di tutti fare un passo indietro e considerare le implicazioni.
Crediamo che le intenzioni dell’FBI siamo buone, ma sarebbe sbagliato per il governo obbligarci a costruire e inserire una backdoor nei nostri prodotti. E, inoltre, temiamo che questa richiesta possa minare le libertà fondamentali che il nostro governo dovrebbe proteggere.
La questione, in definitiva, sembra lontana dal giungere a un’effettiva soluzione: non resta che attendere le prossime decisioni della giurisprudenza a stelle e strisce.