Sono ore davvero infuocate, quelle che hanno visto Apple in prima linea per la difesa della privacy. A seguito delle richieste delle corti statunitensi di ricavare i dati personali da un iPhone appartenuto a uno degli attentatori di San Bernardino, la società californiana ha manifestato la propria opposizione, preoccupata che l’aiuto all’FBI possa tradursi in un rischio per tutti gli utenti. E mentre la polemica divampa su tutti gli organi di stampa mondiali, interviene anche un portavoce della Casa Bianca.
Le vicende sono ormai ben note: una corte statunitense ha imposto ad Apple di fornire un ragionevole supporto all’FBI, affinché l’agenzia governativa possa ricavare i dati personali salvati su un iPhone 5C, precedentemente posseduto da uno degli attentatori di San Bernardino. Dal lancio di iOS 8, tuttavia, Apple non è in grado di entrare in possesso diretto di queste informazioni, grazie a un sistema complesso di crittografia, di cui la Mela non conosce le singole chiavi di decodifica. Così è stata avanzata la richiesta la società permetta di bypassare l’inizializzazione da remoto, quindi elimini i limiti massimi sui tentativi di immissione della password, affinché la stessa possa essere scoperta con attacchi brute-force. Nella giornata di ieri, il gruppo ha pubblicato sul proprio sito ufficiale una lettera aperta, con cui spiega di non voler mettere a rischio la sicurezza di tutti gli utenti, con quella che nei fatti potrebbe risultare una backdoor. Ma non è dello stesso avviso la Casa Bianca, convinta che Apple debba agire su un singolo device, non sull’intero bacino della propria utenza.
La notizia giunge dall’agenzia Reuters, nel riportare le parole di Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca. Secondo quanto riferito, Apple non sarebbe stata chiamata a fornire un backdoor per tutti i suoi dispositivi, né a creare una versione dei propri sistemi operativi che la includono. Alla società è richiesto di lavorare su un singolo dispositivo, si spiega, una necessità che non sarebbe in contraddizione né con la protezione della privacy, né con le normative statunitensi.
Eppure quello di Apple non è un dissenso sul fronte tecnico, è una battaglia di principio. Così come più volte ribadito dal CEO Tim Cook nel corso degli ultimi mesi, anche una singola backdoor potrebbe minare profondamente la sicurezza degli utenti, poiché fornirebbe strumenti di cui non è possibile escluderne un uso illecito.
Nelle mani sbagliate, questo software – che oggi non esiste – potrebbe garantire lo sblocco di un iPhone da chiunque ne detenesse il possesso fisco.
In attesa di scoprire il prossimo passo della vicenda, sono state molte le reazioni alla polemica in corso, tra chi sostiene Apple stia agendo correttamente e chi, invece, pensa stia limitando la capacità d’indagine dell’FBI. Al momento l’universo tecnologico e la Silicon Valley si schierano a favore di di Cupertino.