Starbucks aprirà in Italia. A svelarlo è Howard Schultz, amministratore delegato del gruppo, tramite le pagine del Sole 24 Ore. Ma il suo racconto è interessante non tanto per l’annuncio in sé (l’approdo era ormai cosa scontata, inserita in una incredibile crescita internazionale), quanto nella storia che sta alle spalle del progetto e nel modo in cui l’Italia viene approcciata. L’arrivo di Starbucks è per molti versi un esempio peculiare di innovazione ed i suoi esiti potrebbero raccontare molte cose. Tanto dell’Italia, quanto della stessa Starbucks.
Starbucks “nasce” in Italia
Non si sa ancora quando, non si sa ancora dove, ma i primi indizi sono sul tavolo: inizio 2017, Milano centro. E secondo Schultz sarà un ritorno, più che un arrivo: l’idea alla base del progetto Starbucks sarebbe nata proprio in Italia, proprio a Milano, durante un viaggio di molto tempo fa. Si tratta di una storia nota ad alcuni, ma forse non sufficientemente popolare: ora che può essere strumento utile per adulare la tradizione italiana, c’è da scommetterci che sarà spesa a ripetizione, valido grimaldello per inserire Starbucks laddove fino a ieri v’erano spesso bar dai nomi (spesso cognomi) storici a dominare:
Passeggiando per Corso Vittorio Emanuele, e poi anche a Verona, Schultz si accorse del grande numero di bar e del ruolo che il rito del prendersi caffè ha nella nella società italiana. Non fece altro che vedere quello che noi vediamo tutti i giorni da secoli, senza però che a noi sia mai venuto in mente di mettere in piedi un business globale.
Il modello italiano fu così portato in america tra mille traversie e grazie al fiuto imprenditoriale di Schultz. Starbucks altro non è se non il pivot seguito a “Il Giornale”, la startup di Schultz nel mondo della caffetteria. Il succo della questione è nel fatto che il modello italiano sia stato standardizzato ed esportato, raggiungendo un enorme successo a livello globale: la catena ha creato un nuovo tipo di esperienza legata al modo in cui il tempo viene gestito nelle transizioni tra i tempi di lavoro e quelli domestici. Una pausa, un punto di incontro, un momento aggregativo: Starbucks ha preso il meglio dell’Italia anni ’60, insomma, e ne ha industrializzati gli assunti base. Il caffé diventa elemento comunitario, punto di riferimento, momento che scandisce la giornata ed i ritmi della quotidianità.
Approdare subito in Italia sarebbe stato difficile, quindi, per stessa ammissione di Schultz: un simulacro del “bar” non può sfidare il bar.
È stata una scelta precisa, non mi sentivo pronto, non credevo ci fossimo ancora guadagnati il diritto di aprire qui. Vengo almeno una volta l’anno in Italia, per ricaricarmi, per catturare l’energia di questo paese, e in particolare di Milano. Sono nato e cresciuto a Brooklyn, ma è come se avessi qualcosa di italiano nei geni. Qui mi sento bene. Sono anni che i miei amici mi dicono di aprire in Italia, che il momento è arrivato. È un sogno che coltivo dal 1983, ora posso dire che finalmente si sta realizzando. Il momento è arrivato sul serio, abbiamo lasciato il meglio alla fine. E dovevamo venire proprio qui a Milano, dove tutto è cominciato, la capitale del food, della moda, dello stile.
Un simulacro del bar può sfidare il bar?
Un simulacro del bar può sfidare il bar nel momento in cui il bar stesso abdica al proprio ruolo rimanendo eccessivamente fedele alla tradizione. Non ci si può sedere sulla leadership dell’Espresso nella cultura italiana, sperando possa fare da riparo rispetto alle pressioni dall’estero. L’Espresso ha infatti guadagnato la propria iconicità non solo attraverso il gusto e la qualità, ma anche attraverso un preciso posizionamento nella giornata degli italiani. E di una certa Italia. Oggi il rischio è quindi che un simulacro del bar possa sfidare il bar ad armi pari e, anzi, portandosi appresso tutti i valori che l’icona americana si è conquistata in specifiche fasce d’età. L’innovazione è questa: nuovi modelli che si sostituiscono a vecchi modelli: prodotti, servizi e mercato sono soltanto la conseguenza, a volte effetti collaterali, di questa sostituzione.
Starbucks può conquistare il mercato italiano? Non un mercato intero, forse, ma può sicuramente trarre beneficio fin da subito dal sentiment in alcune realtà metropolitane più cosmopolite (Milano, Roma), mentre potrebbe incontrare maggiori difficoltà laddove il culto del caffé ha un ruolo ancora radicato (Torino, Napoli).
La forza di Starbucks, allora come oggi, è nella capacità di innovare, interpretando l’esperienza come elemento chiave: il caffé non è solo gusto ed il suo valore sociale è ben più alto.
Dopo tutti questi anni posso dire che abbiamo imparato il mestiere e anche che abbiamo onorato la cultura italiana in giro per il mondo. Quindi ora ci proviamo, abbiamo studiato bene il mercato, arriveremo in Italia in partnership con la famiglia Percassi e avremo un food partner italiano
Quando Starbucks sbarcherà in Italia, non lo farà per sfidare il classico Espresso italiano, anzi: l’approccio è estremamente elastico e l’intenzione è quella di piegare il concept statunitense a quelli che sono i gusti e le aspettative nostrani. Non si insegna l’italianità agli italiani, insomma, ma forse l’italianità stessa è cambiata e merita un servizio migliore. O forse si è sfilacciata, sbiadita, e questo apre il nostro mercato a chi dall’estero ci vede come una opportunità. Quanti bar non sono all’altezza delle aspettative, del resto? Quanti bar non assolvono più al ruolo storico ad essi deputato? Quante volte l’esperienza del bar non è stata adeguata a quel che ci si attendeva entrando, con 1 euro in mano, sperando di ricevere accoglienza e sorriso? E quante volte abbiamo desiderato qualcosa di diverso, perché il bar non ha più saputo mettere il nostro cuore in una tazzina?
Starbucks porterà probabilmente un bancone ed un Espresso di qualità, che accompagnerà con alcune offerte tipiche del brand; disporrà tavolini comodi e una rete Wifi aperta; avrà design riconoscibile e atmosfera accogliente. A quel punto la sfida dell’innovazione sarà giocata sui dettagli e sui simboli, sulla segmentazione del mercato e sul marketing. Il colosso americano che sfida la parcellizzazione del mercato italiano in un settore ove l’identità ed il retaggio degli anni d’oro del “bar” e del “caffé” hanno fermato l’evoluzione per decenni. Il simulacro del bar può sfidare il bar? In alcuni luoghi, in questo momento, si. Starbucks può vincere specifiche battaglie e mordere così un mercato che considera prezioso, simbolico e del tutto nuovo (stimolando così ulteriormente le ambizioni internazionali dell’azienda). Starbucks inoltre è sufficientemente attrezzato per capire che non deve conquistare un intero paese, ma solo alcune piazze: sa dove colpire e sa come vincere.
Non abbiamo dubbi: Starbucks riuscirà ad imporsi. Ce la farà senza incontrare troppe resistenze all’interno di una comunità che non fa più dell’identità un argine insormontabile – anzi. Il settore vede sempre meno aperture in conseguenza di crisi economica e caro-affitti, ma queste due barriere non possono far altro che aprire nuove opportunità per chi ha intenzione di portare in Italia nuovi modelli, soprattutto se alle spalle v’è la forza di un colosso internazionale. Chi crede nella tradizione e nella grande bellezza italiana dovrà destrutturare la propria memoria e capire cosa di buono ci sia da recuperare: di fronte ai nuovi modelli non si risponde con la nostalgia, ma con l’entusiasmo. A quel punto Starbucks potrebbe essere una buona occasione per tutti: l’importante è capire subito, senza alcun tentennamento, che la sfida non si combatte sul gusto del caffé. Per poter riportare la sfida sul piano della qualità e dell’identità, occorre capire dove si sia sbagliato nel passato e come si sia potuta aprire la breccia dalla quale oggi Starbucks tenta di entrare.
Starbucks e matrimoni gay
Può sembrare una nota di colore, ma probabilmente c’è anche qualcosa di più: Starbucks è dichiaratamente schierata in favore del matrimonio gay. Non si tratta soltanto di un nastrino colorato o di una dichiarazione di circostanza: Howard Schultz nel 2014 ha espressamente invitato i cristiani contrari al matrimonio gay a vendere le azioni Starbucks ed a investire altrove il proprio denaro. Come a dire: questa non è casa vostra, non siete ben accetti.
Una questione identitaria forte, insomma: è la stessa Starbucks ad elevare il principio d’uguaglianza a questione di genetica aziendale. Visto il momento in cui Starbucks bussa all’Italia, non ci sarebbe troppo da stupirsi se anche questo aspetto potesse entrare nel dibattito tra gli “Starbucks si” e gli “Starbucks no”. Perché di questione identitaria si tratta, sia da una parte che dall’altra. E la sfida italiana del caffé avrà quindi molto da dire. Tanto dell’Italia, quanto della stessa Starbucks.