Sì, io sono Satoshi. In un lungo post, che cita addirittura Jean-Paul Sartre, Craig Wright, imprenditore australiano sul quale già un anno fa hanno puntato i riflettori Wired US e altri giornali, ha ammesso di essere l’ideatore dei Bitcoin, la più famosa moneta elettronica sulla cui misteriosa genesi si sono arrovellati centinaia di giornalisti, esperti, hacker, investigatori. Il motivo di questa confessione è la più banale: l’uomo spera così di essere finalmente lasciato in pace.
Se firmo Craig Wright, non è lo stesso in caso firmi Craig Wright, Satoshi. Così spiega nel suo post, l’imprenditore 45enne che l’anno scorso fu messo al centro di una clamorosa vicenda tra inchiesta giornalistica e sottrazione di dati e documentazioni. In quel periodo l’atteggiamento era stato molto diverso, oggi invece Wright, concordando con alcuni giornali (come l’Economist) l’uscita in contemporanea di alcune sue interviste, firma con una chiave di cifratura che ai più non dice nulla, ma per la community è la chiave per comprendere se dice la verità: solo chi ha redatto il white paper del 2008, infatti, può possederla.
Sono stato a fissare il mio schermo per ore, ma non riesco a trovare le parole per esprimere la mia profonda gratitudine verso coloro che hanno sostenuto il progetto Bitcoin fin dal suo inizio – troppi nomi da elencare.
Una prova del DNA in versione crittografica, in un certo senso. Un test di paternità che risolve uno degli enigmi più chiacchierati e anche paradossali dell’epoca della Rete. Perché la vicenda di Satoshi Nakamoto, l’alias dietro il quale si nasconde l’inventore di questa moneta, del suo funzionamento, è costellata di storie assurde, controversie, falsi scoop. Tutti attratti dallo scoprire chi è il creatore, ovvio, ma anche più prosaicamente per sapere chi attualmente detiene un milione di Bitcoin, che al cambio attuale corrispondono a quasi mezzo miliardo di dollari: il 7% di tutto l’ammontare dei Bitcoin. Chi potrebbe smuoverlo, ovviamente, può decidere molto anche del corso della valuta.
#Bitcoin #News – Craig Wright è Mr. Bitcoin: A differenza delle valute classiche internazionali, i … https://t.co/KUb3ggxjOd | @Bitcns
— BTCN.it (@bitcns) May 2, 2016
È davvero lui? E cosa comporta?
La lettura del post di Wright è sorprendente, sembra all’inizio di assistere alle spiegazioni di un mago, con l’amara sorpresa, quindi, di sapere dov’era il trucco. Di sapere tutto. Poi però, confrontandola con gli articoli dei giornali, si torna alle atmosfere surreali tipiche di questa storia. Innanzitutto, la prova definitiva – una chiave a conoscenza di un altro membro storico della community, Hal Finney – non è resa pubblica, ma solo fatta vedere alla redazione dell’Economist. La quale si lamenta di non aver avuto abbastanza tempo e informazioni per valutarla. Inoltre la community stessa si è scatenata nell’analizzare le presunte prove inconfutabili fornite da Wright. Su Reddit in molti mettono in dubbio la validità di queste chiavi, e si chiedono perché l’imprenditore non ha consentito altre tecniche che toglierebbero ogni dubbio. Al di là di smuovere quei primi Bitcoin, che ha tutto il diritto di lasciare dove sono.
Le ipotesi in campo sono due, a questo punto: se Wright è davvero chi dice di essere, allora il suo parere sulle diverse strade che questa tecnologia deve prendere diventa importante. La Blockchain è in grande spolvero, Bitcoin molto meno, c’è chi vorrebbe una maggiore centralizzazione e chi invece punta alla diffusione dei bitcoiner. Tutto questo ha a che vedere con l’introduzione di contratti e scambi intelligenti nell’economia reale, nel fintech. Cifre per ora basse – sette miliardi di dollari sono ridicoli rispetto ai cinquemila miliardi totali del denaro nel mondo e i 70 mila miliardi di dollari di capitalizzazioni nelle borse – che comunque rappresentano un bel gruzzoletto. Che qualcuno se ne intesti la parternità ideale è tutt’altro che secondario.
Ecco perché va presa in considerazione la seconda ipotesi: che sia un truffatore. Una persona entrata in qualche modo in contatto con Satoshi e ne abbia preso l’identità. Questa tesi, e qui si arriva al complottismo totale, sarebbe valida in particolare se Satoshi non fosse più vivo, come alcuni pensano identificandolo in un ex collaboratore dell’australiano, l’americano Dave Kleiman, morto tre anni fa.
Degno di un romanzo di William Gibson. O di un nuovo genere di fiction: la cripto-surreal-comedy.