Il Garante della privacy ha detto no al diritto all’oblio per un ex terrorista. La notizia, data e commentata dalla stessa autorità tramite il bollettino online, aiuta a comprendere quanto sia determinante nell’economia di questa particolare forma di cancellazione della memoria dalla Rete il peso che si deve dare all’interesse collettivo. Non è sempre facile, anzi si può dire che ogni caso fa storia a sé, ma in più occasioni è stato precisato dalle tanti parti coinvolte in questi procedimenti.
Nel caso del provvedimento dell’autorità garante in oggetto, si tratta di un ex terrorista che, finita di scontare la pena nel 2009, chiedeva la deindicizzazione di alcuni articoli, studi, atti processuali in cui erano riportati i gravi fatti di cronaca che lo avevano visto protagonista tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, ricordati come gli anni di piombo. L’iter è standard: il primo passo è stato contattare Google, chiedendo la rimozione di alcuni Url e anche dei suggerimenti di ricerca (altro tema interessante e complesso da gestire per Mountain View). Vistosi respinte queste richieste, l’uomo ha presentato un ricorso al Garante sostenendo di non essere un personaggio pubblico ma un libero cittadino al quale la permanenza in rete di contenuti così risalenti nel tempo e fuorvianti rispetto all’attuale percorso di vita, cagiona “gravi danni dal punto di vista personale e professionale”.
Il garante, Antonello Soro, però non l’ha pensa così e ha dato ragione a Google appellandosi alle linee guida adottate due anni fa dal gruppo di lavoro dei Garanti privacy europei. Nel dichiarare infondato il ricorso, l’Autorità ha rilevato che le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione fanno riferimento a reati particolarmente gravi. Secondo il Garante, poi, le informazioni hanno ormai assunto una valenza storica avendo segnato la memoria collettiva:
Esse riguardano una delle pagine più buie della storia italiana, della quale il ricorrente non è stato un comprimario, ma un vero e proprio protagonista. Inoltre, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dagli eventi l’attenzione del pubblico è tuttora molto alta su quel periodo e sui fatti trascorsi, come dimostra l’attualità dei riferimenti raggiungibili mediante gli stessi url.
Il provvedimento inoltre dichiara il non luogo a provvedere sulla rimozione dei suggerimenti di ricerca nel frattempo eliminati da Google.
Fuorviante e pregiudizievole
Che morale trarne? Quella solita a proposito del diritto all’oblio in salsa europea: senza una strenua attenzione al valore culturale della memoria si possono fare danni seri alla collettività, già piuttosto ignara della storia anche così, soprattutto i più giovani che tendono a informarsi unicamente in Rete. Le argomentazioni degli avvocati che hanno presentato il ricorso prendono spunto dalle debolezze che fin dall’inizio hanno fatto storcere il naso a proposito dell’applicazione del diritto all’oblio sancito dalla Corte di Giustizia Europea, ma si nota sempre più in casi come questi la precisazione dei tre termini del diritto stesso: interesse pubblico, tempo trascorso, diritto umano a sviluppare la propria esistenza.
La memoria persistente della Rete può diventare una gabbia mobile attorno a una persona fino al punto di rendere questa memoria, come si dice nel ricorso, “fuorviante e pregiudizievole”? Teoricamente, il giudizio collettivo che deriverebbe dalla conoscenza pubblica diffusa, trasparente, di ogni errore compiuto da una persona anche in un tempo lontano equivale a una sorta di ergastolo sociale? Come far convivere il bisogno di una persona di ricominciare, peraltro stabilito dalla Costituzione, con l’importanza di mantenere la conoscenza di fatti storici gravi o importanti? Dell’uomo esiste anche una voce su Wikipedia: ha senso chiedere di cancellarla? Nessuno lo chiederebbe di una enciclopedia cartacea, ma è pur vero che quelle cartacee non erano così lette e se non aggiornate cadevano interamente nell’oblio.
Tutte domande lecite alle quali a volte sembra immediato rispondere, come in questo caso, altre volte invece è un dilemma. Ma è un dilemma che fa bene alla consapevolezza civica come un esercizio di ginnastica alle nostre articolazioni.