Occorre partire dai fatti, tutti inclusi nel titolo di un workshop chiusosi da poche ore: “Qualità dell’aria nei centri urbani, nuovi carburanti, azioni possibili“. Perché il primo fatto è ormai conclamato: la qualità dell’aria, soprattutto nell’area della pianura padana ove minore è l’influsso dei venti a seguito della protezione delle Alpi, è oggi tra le peggiori a livello europeo. A questa prima presa d’atto occorre però affiancarne altre due: esistono nuovi carburanti da poter tenere in considerazione ed esistono soprattutto azioni che si possono intraprendere per cambiare l’attuale situazione consolidata.
Al workshop milanese hanno partecipato il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti; il sindaco di Milano Giuseppe Sala; Alberto Clò, coordinatore scientifico del Rie; Stefano Cernuschi del Politecnico di Milano; Enrico Pisino, Fiat Chrysler Automobiles; Giuseppe Ricci e Giacomo Rispoli, Eni. Al centro del dibattito, ancora una volta, v’è stato il modello: se oggi la qualità dell’aria è caduta a livelli di pericolo immediato (e ciclicamente si registrano picchi di allarme stagionali in carenza di precipitazioni), la causa va ricercata in un modello energetico non più in linea con la maturata consapevolezza della pericolosità di questa situazione. Per “modello energetico” si intende tutto: dalla mobilità al riscaldamento, ogni consumo che produce emissioni è co-responsabile del problema.
Il programma del Workshop si propone di riportare l’attenzione sul tema dell’inquinamento urbano – specie in riferimento alle emissioni dei trasporti – a seguito della COP21 di Parigi; di analizzare le possibili misure per ridurlo attraverso un’azione sinergica tra industria automobilistica e petrolifera; di evidenziare le potenzialità della penetrazione di combustibili ad alta componente rinnovabile in grado di abbattere i principali inquinanti e di migliorare le prestazioni motoristiche; di individuare possibili sinergie con Enti Pubblici.
Per questo motivo, anche sulla base delle stringenti indicazioni provenienti dall’Unione Europea, le soluzioni nascono ad ogni livello della filiera e soprattutto potranno nascere dalle sinergie destinate a crearsi nei punti di contatto tra i vari stakeholder. Una delle soluzioni, la più radicale in termini di risultati, è quella proposta da Eni ormai da qualche tempo attraverso il nuovo Eni Diesel+. Si tratta infatti di un green diesel con un’alta percentuale di additivo “bio” che, oltre ad abbattere le emissioni, offre anche un alto numero di cetano e pertanto migliori prestazioni e minor consumo di carburante su qualsivoglia veicolo. Una soluzione immediata, insomma, a sua volta supportata da un modello produttivo innovativo: vecchie raffinerie convertite per la produzione di biodiesel, consentendo tempi e investimenti ridotti per una immissione sul mercato destinata a farsi sempre più rapida ed efficiente.
Innovazione bio
L’innovazione, insomma, può essere il cuore della soluzione. Quando diventa necessario un passo importante quale quello individuato, non è sufficiente ottimizzare la ricetta partendo dagli ingredienti disponibili: occorrono nuove auto, e nuovi carburanti, nonché una nuova filiera in grado di portare entrambi sul mercato in tempi brevi. Occorre dunque una revisione complessiva, a cui devono partecipare tutte le parti chiamate in causa. La soluzione può iniziare anche da un workshop, poiché occorre mettere le parti (aziende, istituzioni e consumatori) allo stesso tavolo affinché si possa discutere, ognuno dal proprio punto di vista, del necessario punto di contatto possibile.
Il nuovo biocarburante è prodotto grazie alla tecnologia Ecofining sviluppata dal 2006 nei laboratori di San Donato Milanese, in collaborazione con Honeywell UOP. La bioraffineria Eni a Venezia produce dal maggio 2014 il componente che ha permesso la commercializzazione, dal gennaio scorso, del nuovo Eni Diesel+, il carburante che ha il maggiore contenuto di componente biologica e rinnovabile (15%) e il cui utilizzo ha evidenziato una notevole riduzione delle emissioni.
Ovviamente l’approdo a sistemi di biodiesel implica una lunga serie di altre considerazioni: un apporto di componente “bio" realmente sostenibile, approvigionandosi di risorse che non debbano in realtà essere destinate ad altri comparti; una conversione efficiente di impianti industriali in essere; una efficace integrazione in sistemi di distribuzione esistenti. Eni su questi fronti sta lavorando da tempo tentando di diventare avanguardia europea e guida per l’intero settore: ai brevetti registrati per una opzione di “licensing out" che rimane valida (elemento abilitante per una produzione massiva di biodiesel a livello continentale) si affiancano ricerche per nuove componenti bio da tenere in considerazioni quali le biomasse lignocellulosiche, le microalghe e la componente biologica dei rifiuti solidi urbani.
L’utilizzo di Eni Diesel+, benché non rappresenti la soluzione definitiva al problema della qualità dell’aria della Valle Padana, può sicuramente contribuire, con utilizzo sia su mezzi privati che pubblici, alla riduzione delle emissioni veicolari e quindi al miglioramento della qualità dell’aria.
In parallelo v’è un’industria dell’automobile duramente colpita dal dieselgate: gli ultimi due anni sono stati estremamente duri e per uscirne occorre un colpo di reni che coinvolga l’intero comparto e che incida proprio sul nervo scoperto delle emissioni. Lo sforzo del settore dovrà dunque essere unanime perché, mentre la mobilità elettrica rimane una valida prospettiva con troppi colli di bottiglia (e dunque di impossibile applicazione immediata di massa), la transizione verso il nuovo modello di mobilità sostenibile può contemplare carburanti migliori, su auto migliori, all’interno di un sistema più intelligente (ove car sharing, car pooling e altre formule possono anche introdurre maggior cultura sul problema).
Chiaramente l’intervento sui carburanti e sulla mobilità può essere soltanto parte della soluzione, poiché molto è possibile fare anche sul fronte dell’impiantistica di riscaldamento e sull’offerta gas (riducendo almeno nei circuiti metropolitani le soluzioni a pellet e similari). Tuttavia questo fronte ha oggi molti più problemi e molto più strutturali: la conversione delle caldaie, l’isolamento termico e altri aspetti implicano onerosi investimenti da parte dei privati in un momento nel quale, nonostante i forti incentivi statali, sono in pochi ad essere disposti all’intervento radicale sugli impianti di proprietà. Agire a livello di produzione di carburanti per la mobilità, invece, non avrebbe un impatto diretto sui consumatori, mentre lo avrebbe in positivo sulle emissioni centrando gli obiettivi di medio periodo imposti dall’UE. E regalando all’Italia il tempo per operare (si auspica con lungimiranza, ma questo è un altro discorso) verso i nuovi modelli di approdo che costituiranno il futuro dell’energia, essenza del mix energetico della prossima decade e di quella successiva.