Figura di spicco del movimento elettronico negli ultimi decenni, attivista per i diritti degli animali e tra i nomi celebri apertamente schierati contro la candidatura di Trump alla Casa Bianca. Moby ha da qualche giorno pubblicato il suo tredicesimo album in studio, intitolato “These Systems Are Failing”, primo a portare la firma The Void Pacific Choir.
Lontano anni luce dalle sonorità di produzioni come “Play”, il disco è l’urlo primordiale di un artista che superata la soglia dei 50 sceglie (a differenza di tanti suoi colleghi) di non ripetersi diventando la macchietta di se stesso, ma di sperimentare un nuovo approccio alla composizione e alla registrazione. Più crudo, più aggressivo, ma non per questo necessariamente più azzeccato. Il video del secondo singolo estratto, “Are You Lost in the World Like Me?”, offre qualche interessante spunto di riflessione. È diretto e animato dall’illustratore Steve Cutts.
Uno spietato ritratto della deriva che sta inesorabilmente contagiando un po’ tutti, un’epidemia tecnologica che porta all’astrazione, all’alienazione e alla ridefinizione delle dinamiche che regolano rapporti e relazioni interpersonali. Una visione distopica e rassegnata sul mondo 2.0.
Lo stile è quello dei primi cortometraggi animati, dei Mickey Mouse degli anni ’30, tre minuti di viaggio in una società paranoica e schizoide, dove nel grigiore di uno mondo desaturato brillano solamente i colori delle emoticon e delle entità virtuali: impossibile non notare il riferimento a Pokémon GO o quello a YouTube, alle modalità di scelta del partner e ai like dei social network, passando dalle manie di protagonismo dei selfie-addicted e dalla piaga del bullismo.
Are you lost in the world like me? / And the systems have failed are you free?
In molti non faticheranno a definire la visione di Moby come pessimista. Altri la riterranno fin troppo realista, uno sguardo obiettivo su un mondo osservato dai grandi occhi spalancati del suo alter ego e non filtrato da uno schermo. Forse è solo l’espressione controcorrente di un artista che sta cercando di reinventare se stesso. Forse un urlo solitario e rassegnato che mira a risvegliare le coscienze. Forse una buona trovata promozionale per un album che altrimenti sarebbe passato in sordina. L’unica cosa certa è che, statisticamente, almeno la metà dei lettori di questo articolo è arrivata fin qui con gli occhi incollati al display del proprio smartphone.