Se c’è una nazione che può essere un banco di prova per tutte le soluzioni e le criticità delle policy dei social network questa è la Germania. Ne è ultimo e perfetto esempio l’attrito fra Facebook e la legge sull’hate speech, che in terra tedesca è particolarmente restrittiva essendo collegata a specifiche norme contro l’apologia del nazismo e il negazionismo dell’Olocausto. Così si è attualmente in una situazione di stallo che non piace a nessuno.
La vicenda di Yorai Feinberg, un ristoratore finito in una pagina Facebook di estremisti di destra che ha creato una inquietante mappa gemella di quella della Notte dei cristalli del 1938, è finita in tutti i giornali del mondo. Il social ha cercato di reagire velocemente, almeno secondo i suoi standard, le autorità tedesche invece non la pensano affatto così e a dirla tutta incoraggiano un clima che ha portato a vari tentativi di incriminazione per Mark Zuckerberg, secondo una logica non dissimile da quella vista anche di recente in un caso italiano di revenge porn: una sorta di imputazione per “omesso controllo”. Discutibilissimo quanto si vuole, ma meno in Germania dove ci sono norme particolari.
Facebook Runs Up Against German Hate Speech Laws https://t.co/NY7kCr068s
— NYT Technology (@nytimestech) November 28, 2016
Il problema è che il bruttissimo episodio di antisemitismo non è stato neppure denunciato coi soliti strumenti perché la vittima sostiene di averlo già fatto molte altre volte in passato, senza risultato. La mappa, peraltro, non è stata rimossa subito perché – come capita spesso – ai primi segnalanti è stato detto che non violava gli standard della comunità. Cosa assurda, essendo chiaramente di contenuto razzista e violento. Dopo le proteste sullo stesso social, sui media e della politica, Facebook ha ripreso quel contenuto e l’ha cancellato. Ha impiegato 48 ore. Per stessa ammissione di Richard Allen, direttore della policy europea di Facebook, si è trattato di un errore.
Cosa impedisce al social di andare più spedito? Il solito combinato disposto di matematica e libertà di espressione: Facebook deve curare una quantità neppure calcolabile umanamente di contenuti, e teme di mettere a rischio, per frettolosità, il diritto di espressione. Da anni prosegue con questo principio: meglio tardare a cancellare qualcosa che affrettarsi a chiedere scusa per averlo fatto. Questo metodo, però, in un clima politico accesissimo, si sta trasformando una rissa. Facebook è accusato (ridicolmente) di quasi ogni problema sociale: il discorso d’odio, la vittoria dei populisti alle elezioni, le intolleranze, il terrorismo, la proliferazione delle notizie false. In Germania il legislatore pensa che dovrebbe essere denunciato formalmente. E sempre in Germania è nata la disputa sullo scambio di dati Facebook-Whatsapp che ha portato poi al blocco continentale.
Una situazione talmente specifica che soltanto nel paese governato dalla Merkel Facebook ha introdotto norme specifiche sulle minoranze, collaborato con enti ed associazioni per campagne anti razzismo, ha finanziato gli spot televisivi degli stati federali coinvolti dall’immigrazione dalla Siria per parlare di discorso d’odio e di privacy. Sempre in Germania Zuckerberg ha dato l’assenso per assumere una società tecnologica nazionale che si occupa di monitoraggio (tutti gli altri Paesi possono soltanto affidarsi ai nuclei della società sparsi globalmente). Ma niente da fare: per la legge tedesca Facebook non è ancora in regola. E nonostante tutti i report dicano che la percentuale di rimozione dei contenuti odiosi è superiore alle performance di Twitter e YouTube, l’obiettivo dichiarato della Merkel è ottenere che Facebook cancelli il 70% dell’hate speech e delle bufale entro le 24 ore. E ovviamente prima del voto la prossima primavera, che la cancelliera vuole vincere senza fake news e populismo online in mezzo ai piedi.
Lo stesso giornale che più di altri ha tenuto d’occhio l’argomento, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump, raccomanda però di non pensare che Facebook dovrebbe occuparsi di tutto quanto e che chiedere al social di decidere al posto nostro cosa è vero e cosa è falso, cosa è giusto e cosa è sbagliato suona decisamente ingenuo e pericoloso.
Op-Ed Contributor: Facebook Shouldn’t Fact-Check https://t.co/SCpfvrzZ40
— NYT Technology (@nytimestech) November 29, 2016