Uber ha un problema: si chima Ward Spangenberg ed è un ex-dipendente del gruppo. Le sue parole, si chiaro, andranno verificate poiché la fonte non ha certo troppa cautela nel fornire dettagli contro la sua ex-azienda: licenziato nel marzo 2015, Spangenberg potrebbe dunque usare il momento come rivalsa personale. Tuttavia le accuse sono estremamente gravi e circostanziate, trovando spazio su Reveal (“The Center for Investigative Report”) e gettando fango sui sistemi di sicurezza in uso presso il gruppo.
Secondo quanto rivelato, Uber avrebbe una gestione quantomeno superficiale dei dati personali dei propri clienti. Spangenberg sostiene di essere al corrente di un dipendente che, per aiutare un amico stalker, gli avrebbe fornito informazioni utili per seguire gli spostamenti dell’ex-fidanzata. Altri dipendenti avrebbero invece avuto accesso agli spostamenti di Beyoncé e altri VIP, potendo accedere a questi dati in modo illimitato e senza la necessità di autorizzazione alcuna. Spangenberg spiega anzi che la policy è esattamente questa: tramite il “God View” (poi ribattezzato “Heaven View”) ogni informazione relativa all’attività di Uber sarebbe stata accessibile. Il che diviene cosa ancor più grave se il gruppo traccia gli spostamenti degli utenti, così come introdotto nei giorni scorsi sulla nuova app, anche nei 5 minuti successivi al viaggio compiuto sulle auto dell’azienda.
Il licenziamento sarebbe stato frutto delle accuse dello stesso Spangenberg, il quale portava avanti l’idea di policy maggiormente controllate, che potessero consentire l’accesso ai dati soltanto ad un ristretto manipolo di dipendenti aventi la responsabilità di gestire tali informazioni e consentirvi l’accesso controllato. L’azienda invece non solo non avrebbe mai seguito tali consigli, ma avrebbe sfruttato le competenze di Spangenberg anche per proteggere le informazioni sui pc aziendali per impedirne l’accesso a controllori esterni (presumibilmente al fine di evitare controlli fiscali).
Sebbene Uber abbia sempre sostenuto di avere regole stringenti per l’accesso ai dati, le rivelazioni di Spangenberg vanno in direzione opposta. In passato più volte il gruppo ha dovuto affrontare problemi a livello di privacy, ma quanto emerso ora è più grave e dettagliato: i problemi sarebbero frutto di una reiterata e consapevole superficialità nel trattamento dei dati, tollerando la situazione nel nome di una gestione oculata dei costi più che della sicurezza.
Le parole di Spangenberg non potranno passare inosservate e dal gruppo ci si attendono forti prese di posizione. Da parte sua, lo stesso dipendente sarebbe stato licenziato per condotta non in linea con le regole aziendali, formattando il proprio pc prima di lasciare. Lo scontro tra le parti potrebbe generare distorsioni importanti alle versioni fornite, ma la gravità delle accuse è tale da meritare l’attenzione delle autorità. E Uber dovrà risponderne per ripristinare il profilo smart che il mondo intero legge dietro ad uno dei brand in maggior crescita nell’immaginario collettivo.