Della cosiddetta moviola in campo si parla ormai da anni nel mondo del calcio. C’è la corrente più conservatrice che vuol impedire a tutti i costi che occhi digitali e strumenti hi-tech prendano il sopravvento, sottolineando come al pari degli atleti anche i direttori di gara abbiano il diritto di commettere errori. Ci sono poi coloro che auspicano una rapida adozione delle tecnologie come già avvenuto in altri sport.
Se per l’occhio di falco i risultati fin qui sono stati convincenti, il Video Assistant Replay (VAR) non promette altrettanto bene. È stato impiegato per la prima volta nei giorni scorsi negli stadi della Coppa del Mondo per Club organizzata dalla FIFA e l’esito può considerarsi alquanto disastroso. C’è chi, come Luka Modrić del Real Madrid, ha dichiarato senza giri di parole “Questo non è calcio”.
Per quale motivo? Il sistema è entrato in azione due volte, generando in entrambi i casi confusione e fraintendimenti. Prima nella gara fra Atletico Nacional e Kashima: sullo 0-0 viene assegnato un calcio di rigore in favore dei giapponesi (che poi vinceranno il match), basandosi proprio sulla moviola a bordo campo, ma l’arbitro pur osservando con tutta calma lo schermo non nota la posizione di fuorigioco dell’attaccante Daigo Nishi che di lì a poco verrà atterrato in area. La giustificazione fornita successivamente parte dal presupposto che la palla non è mai arrivata tra i piedi del giocatore, dunque l’offside non dev’essere considerato. Senza l’ausilio delle telecamere, però, il guardalinee avrebbe dovuto alzare la bandierina prima del contatto che ha portato alla concessione del penalty. Insomma, tutto molto complicato.
Il secondo pasticcio in América-Real Madrid, con il neoeletto pallone d’oro Cristiano Ronaldo che dapprima si vede concedere una rete, poi annullarla, in seguito convalidarla nuovamente. In definitiva, se questo è il supporto alla direzione di gara del VAR, la strada da percorrere perché possa considerarsi una tecnologia efficace e capace di semplificare la vita dei direttori di gara è ancora piuttosto lunga. Due episodi che confermano inoltre come l’occhio della tecnologia, di per sé, non sia in grado di garantire l’obiettività di una decisione se questa in ultima istanza è soggetta al giudizio personale (e quindi fallibile) dell’arbitro.