Il Web è tornato ad essere al centro delle attenzioni dell’ex-premier Matteo Renzi. Lo diventa all’interno del primo discorso ufficiale di Renzi in qualità di Segretario del PD, di fronte ai vertici del partito, nel contesto di una Assemblea nazionale che deve fare da spartiacque tra il passato contraddistinto dal Referendum e il futuro focalizzato sul rilancio dell’azione di Governo.
Le parole di Renzi hanno tirato in ballo il Web all’interno dell’analisi della sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre, quando i “No” riuscirono a prevalere su quanti auspicavano di poter modificare la Costituzione. E proprio il Web è stato inserito da Renzi tra le principali cause della sconfitta:
Noi abbiamo perso sul web, abbiamo totalmente lasciato la parte web nelle mani di chi è in queste ore è sotto gli occhi della comunità internazionale a cominciare dal New York Times per essere diffusore di falsità. Questo è un tema cruciale. Potremmo proporre a M5s la stessa cosa che un candidato democratico disse ai repubblicani: voi la smettete di dire le bugie sul vostro conto e noi la smettiamo di dire la verità sul vostro.
La frase di Renzi è densa di significati. Tanto densa da risultare impossibile a un vero debunking. Mezze verità e mezze non-verità (non necessariamente bugie) si intrecciano, facendo di questa frase una delle più interessanti dell’intero intervento.
Le mezze verità
Il Referendum è stato perso sul Web? Probabilmente si, anche, e non certo in modo esclusivo. Insomma: addossare ogni colpa al Web sarebbe una follia, ma al tempo stesso è innegabile come, proprio sul Web, abbiano attecchito molte dinamiche risultate infine deleterie per le ambizioni di Renzi sulla modifica della Costituzione.
Inoltre: «abbiamo totalmente lasciato la parte web nelle mani di chi è in queste ore è sotto gli occhi della comunità internazionale», come se si possa in qualche modo instaurare una dinamica sul Web ostacolando taluni canali comunicativi ed occupandone altri in modo automatico. Come ad ignorare che coinvolgimento ed empatia siano gli unici veri veicoli per alimentare la condivisione. Renzi lascia intendere insomma come sarebbe stato necessario fare di più (cosa tanto innegabile quanto ovvia), ma non è stato possibile e ciò si è dimostrato essere un ostacolo per le proprie ambizioni.
Il problema è che non si rema contro il Web: il Web si cavalca, o lo si subisce. Se Renzi non è riuscito a cavalcarlo, davvero qualcuno è stato in grado di fare di meglio e di più? Non c’è forse qualche mezza non-verità anche nell’attribuire troppi meriti e troppi successi alle controparti?
Le mezze non-verità
Anzitutto le chiamiamo “non-verità”, perché il termine “bugia” implica in qualche modo un dolo. E il dolo della disamina non è dimostrabile. Renzi, insomma, potrebbe aver realmente mal interpretato il ruolo del Web in questa tornata referendaria: c’è colpa ma non c’è intenzione, c’è invece un errore da correggere.
Va ricordato come proprio Renzi sia stato colui il quale nel tempo abbia spostato il baricentro della comunicazione politica sul Web attraverso slide, dirette Facebook, tweet e quant’altro: mai nessun altro premier aveva tanto spinto sui social network e sull’informazione online, arrivando a fare di questo canale un elemento peculiare e identitario del proprio modo di far politica. Se dunque mai nessuno come Renzi aveva presidiato il Web prima d’ora, perché alla fine sul Web sarebbe maturata la sconfitta? Perché il Web dovrebbe essere causa della disfatta dei “Si”? La sensazione è che nella disamina di Renzi ci sia stato un errore di fondo, voluto o meno che sia: il Web non è stato causa della sconfitta, ma probabilmente ne è stato terreno. Sul Web è maturata la sconfitta, e questo è forse vero, ma il fatto che ci sia un nesso causale tra le dinamiche del Web (Renzi fa schietto riferimento a bufale e fake news) e la sconfitta è qualcosa di facilmente confutabile.
La chiusura di questo passaggio è per il M5S, chiudendo così con un nome il proprio intervento. Il che riconduce la narrazione al filo logico per cui il M5S abbia diffuso fake news, la gente vi abbia creduto ed abbia conseguentemente votato No al referendum. Narrazione ampiamente smentita dai fatti, però, che identificano un nesso certo tra fake news e populismi, ma che non intende raccontare in ciò alcuna filiazione causale (fake news e populismi non sono reciprocamente causali, ma sono bensì entità emergenti dal medesimo calderone di concause).
Errore o dolo? Renzi ha voluto ricondurre la propria narrazione ad una serie di cause della sconfitta per celare quelle reali? Oppure crede realmente che il Web sia stato origine del problema? E in tal caso: se il Web è il problema, come è possibile rimediare?
Una nuova narrazione
C’è un’altra mezza verità da raccontare, però: mai nessuno come Renzi ha dimostrato di saper bene usare il Web come veicolo informativo e comunicativo nel far politica. Del Web conosce linguaggio e strumenti, tanto da portare entrambi al centro del proprio modus operandi quotidiano. Di qui occorre ripartire: da un “talento” evidente, con tanto di carica empatica innegabile, su cui installare però nuovi messaggi e nuovi contenuti.
L’Assemblea Nazionale del PD ha puntato il dito su molte altre questioni: il lavoro, le periferie, i giovani, il senso di comunità. Tutte cose importanti e vere, per le quali un partito con la vocazione del Partito Democratico dovrà trovare una risposta in vista delle prossime elezioni. Come restituire una speranza a chi non trova lavoro? Come restituire certezze a chi vive di voucher? Come restituire senso d’appartenenza a chi si trova all’interno degli schemi sociali disgregati di periferie-dormitorio? Queste sono le risposte importanti: trovate queste, la capacità di Renzi di farsi trascinatore sul Web tornerà ad essere efficace. Costringendo anche altri partiti ad offrire alternative, sogni e speranze.
Non sono le perle che fanno la collana, ma il filo. E noi non siamo riusciti a raccontare qual era questo filo
Sul Web a vincere non sono i partiti, ma le emozioni. Ed a prevalere sono stati in questi mesi paura e scetticismo, poiché veicolati in modo più convincente ed argomentato. Le fake news hanno partecipato a questo coro? Sicuramente, ma soltanto innestandosi su una piattaforma umorale ampiamente delineatasi ormai da tempo. Renzi, a differenza di altri, ha capito davvero cosa possa fare il Web. Renzi, a differenza di altri, non ha costruito contenuti politici che sul Web avrebbero potuto maturare le emozioni auspicate. Non che sia necessariamente una colpa, sia chiaro: tutto è molto più complesso quando si parla di creare e cambiare, che non quando si critica o difende lo status quo. Questione di inerzia.
Ecco perché dietro quel «Noi abbiamo perso sul web» c’è molto più di quanto Renzi avrebbe voluto dire, ma c’è anche molto meno di quanto Renzi avrebbe dovuto dire. Nessuno come lui ha però ora le potenzialità per riformulare il messaggio e ritentare. Dietro quella frase c’è un punto, oltre il quale deve ricominciare una nuova narrazione. Un nuovo paragrafo. Un nuovo capitolo. Alla ricerca di nuovi “like”, dentro e fuori dai social network.