Il testo di legge sul cyberbullismo torna alle origini: ieri sera con 224 sì, un no e 6 astensioni, il Senato ha restaurato il ddl 1261-B, riconsegnandolo alla Camera, dove qualche mese fa era stato completamente stravolto. Definizioni, ambito d’età, strumenti, tornano ad essere quelli di una legge che si pone prima di tutto un obiettivo di prevenzione e per quanto riguarda il contrasto mantiene le istanze di oscuramento ma stabilisce dei processi di ammonimento pre-querela che coinvolgono scuola e famiglie.
La prima ad essere soddisfatta di questo risultato è ovviamente la senatrice Elena Ferrara che aveva tuonato contro le modifiche della Camera e oggi riconosce nuovamente il testo di cui è prima firmataria. Non che la sensibilità politica generale sia particolarmente preoccupata dell’uso di strumenti di oscuramento veloce dei contenuti (soprattutto social, ma non solo): si considera più importante la reattività a “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”:
La libertà di espressione e quella di pensiero rientrano nei diritti fondamentali, d’altro canto quando si parla di minori tutti devono fare un passo indietro. Da qui l’esigenza di agevolare la rimozioni di contenuti e accelerare il blocco dei siti o dei profili sulla base delle segnalazioni inviate anche dagli adolescenti, che oggi non possono sporgere denuncia autonomamente. Questo è il grande impegno, condiviso anche dai principali soggetti del web che più volte, pubblicamente, si sono resi disponibili a rispettare.
A proposito di #cyberbullismo e Costituzione. Nota breve del Servizio studi: https://t.co/7GKrP8VAXc pic.twitter.com/MjenR5gekw
— Senato Repubblica (@SenatoStampa) January 31, 2017
Cosa dispone la legge
La versione autunnale della legge era una delle cose peggiori mai viste passare alla Camera, degna incarnazione dell’atteggiamento colpevolista e retorico di tanta politica italiana quando si tratta di legiferare attorno alle cose del Web. Le modifiche apportate dalla Camera stravolgevano il provvedimento estendendolo a tutta la popolazione adulta e concentrandosi sulla repressione. Il primo effetto di quella legge se fosse stata approvata in via definitiva sarebbe tata la sua sostanziale inapplicabilità anche e soprattutto perché avrebbe aumentato in modo indiscriminato i contenziosi a carico del povero Garante per la privacy, senza peraltro che fosse dotato di risorse per sostenere questo carico.
C’era un altro capolavoro al contrario: nonostante i comportamenti più gravi del bullismo siano già perseguibili codice alla mano (violenza privata, diffamazione, stalking), la versione di Montecitorio modificava l’articolo 612-bis del codice penale, una mostruosità sulla quale si sono alzati gli strali dei giuristi, perché prevedendo la reclusione da uno a sei anni per “atti persecutori attraverso strumenti informatici o telematici” con una formula generica rischiava di diventare uno strumento perfetto per fare pressioni indebite su giornalisti e blogger senza passare dai criteri della legge sulla stampa e annessa diffamazione a cui si sta lavorando in un altro dispositivo di legge.
Tutto questo è stato cancellato e il testo è tornato al suo impianto originario. I principi sono questi:
- Piano di prevenzione. La legge dispone che con un decreto della Presidenza del Consiglio sia istituito un Tavolo tecnico coordinato dal ministero dell’Istruzione. Qui si definisce in sessanta giorni un piano di azione integrato per il contrasto e la prevenzione del cyberbullismo.
- Segnalazione dei minorenni. La legge si concentra sui minorenni, pensa soltanto a loro, e concede loro la possibilità di ottenere dai gestori dei siti la rimozione di contenuti ritenuti offensivi. Le web company dovranno, probabilmente, lavorare per integrare degli strumenti idonei e facili ed è previsto possano guadagnare un bollino di qualità riconosciuto dal tavolo interministeriale. Il sistema prevede che se il gestore non dà risposte entro 12 ore o non provvede entro 48 ore, l’istanza sia trasferita al Garante per la privacy, il quale potrà provvedere autonomamente entro le successive 48 ore secondo la legge sulla protezione dei dati personali del 2003.
- Le procedure non penali. La legge è più attenta al pre-penale, stabilisce una procedura di ammonimento, come avviene per lo stalking, al fine di responsabilizzare i minori (sempre over 14, gli under non sono perseguibili) autori di questo tipo di pressioni e atti, puntando sui servizi socio-educativi presenti sul territorio, in sinergia con le scuole.