Una fotografia non è solo un’immagine. Non è solo un file, un insieme di bit o una lastra impressionata dalla luce. Ha sufficiente potenziale espressivo, narrativo e documentaristico per veicolare un messaggio, testimoniare un fatto, raccontare una storia. Al fotografo è affidato il non semplice compito di inquadrare il mondo attraverso la propria prospettiva, di filtrarlo, di catturarne un frammento.
Quando poi si parla di fotogiornalismo, l’impresa è ancora più ardua, poiché all’autore è richiesta la totale obiettività nei confronti di quanto si sta immortalando, l’abilità di testimoniare gli eventi senza alcun tipo di influenza personale. Ne ha parlato Pietro Masturzo, fotoreporter italiano attivo da oltre un decennio e già vincitore del World Press Photo Picture of the Year nel 2010 per il lavoro svolto nella capitale iraniana. Il suo intervento presso la Triennale di Milano, in occasione della presentazione delle nuove fotocamere Canon (EOS M6, EOS 77D ed EOS 800D), risulta di particolare importanza e spessore in un’epoca in cui la fotografia è purtroppo talvolta ridotta all’esclusiva funzione di mezzo per la rappresentazione estetica del soggetto-oggetto. Questa la sua testimonianza.
L’uomo e le sue vicende sono sicuramente al centro del mio interesse. In generale, come fotografo, mi occupo di questioni politiche e sociali e sono particolarmente attratto dal potere che pochi esseri umani esercitano su tutti gli altri, dal dominio e dagli abusi e, quindi, dalla continua lotta per la resistenza dei più deboli.
Pietro Masturzo
Classe 1980, nato a Napoli, Masturzo si dedica al fotogiornalismo dopo aver studiato Relazioni Internazionali all’Università L’Orientale del capoluogo campano, focalizzandosi principalmente su questioni sociali e politiche, con un’attenzione particolare ai contesti in cui le popolazioni si trovano in condizioni di oppressione e violazione dei diritti fondamentali. A partire dal 2007 ha realizzato reportage in Italia, Iran, Egitto, Libia, Israele,Cisgiordania, Striscia di Gaza, Libano, Myanmar, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Tanzania, Georgia.
Le fotografie
La sua fotografia più famosa è quella visibile (parzialmente) nell’immagine di apertura in questo articolo (integralmente nella galleria qui sotto), che gli è valsa l’assegnazione del World Press Photo Picture of the Year 2010, il più importante riconoscimento a livello mondiale per il fotogiornalismo. È stata scattata nel giugno 2009 nella città di Teheran, in Iran, con una Canon EOS 5D. Era il periodo delle elezioni presidenziali, critico per il futuro del paese, nonché il 30esimo anniversario della Rivoluzione Islamica. Un contesto di certo non semplice da fotografare: scattare fotografie significava correre rischi enormi, soprattutto in luoghi pubblici e durante le manifestazioni. I soggetti sono donne che gridano il loro dissenso contro il regime, dal tetto della propria abitazione. Questo il suo racconto.
Dopo essere stato fermato dalla polizia ho dovuto cercare una prospettiva diversa per raccontare quello che stava succedendo e così sono finito sui tetti. Anche lì, dove si svolgeva una forma di protesta pacifica e al contempo molto affascinante, non era privo di rischi, infatti gli iraniani che mi accompagnavano avevano paura che potessi essere avvistato da altri edifici e per sicurezza alcuni volevano che nascondessi la macchina fotografica. Così, quando me lo si chiedeva, ho dovuto avvolgere la macchina in una sciarpetta e scattare senza neanche guardare attraverso il mirino.