Buoni risultati, quelli per il mercato musicale in Italia nel corso del 2016. È quanto conferma FIMI, nel commentare i dati raccolti da Deloitte: lo scorso anno, l’industria discografica è rimasta stabile e si è assistito a una crescita rilevante dello streaming e del vinile. In diminuzione, invece, la vendita di CD e la distribuzione tramite digital download.
È stato un 2016 promettente, quello segnato sul fronte della vendita musicale tricolore, con un +0.4% di crescita e 149 milioni di euro in fatturato. E sebbene l’intero settore sia ancora oggi ad appannaggio del supporto fisico, con il 54% sul totale e ben 17 titoli italiani nella top 20 dei dischi più venduti, sono streaming e dischi in vinile ad avere la meglio.
L’ascolto di musica sulle più famose piattaforme di streaming segna un +30%, con un aumento più che sensibile dei ricavi dovuti agli abbonamenti: +40% rispetto all’anno precedente, per un totale di 35 milioni di euro e il 51% dell’intero mercato musicale. Più modesta, ma sempre in crescita, la performance dello streaming video, con un aumento del 4%, mentre l’ascolto di brani tramite piattaforme legate all’advertising cresce del 30%.
Proprio sul fronte dei video, FIMI segnala come vi sia ancora un divario tra gli stream effettivi, a volte di milioni di unità, e gli introiti per i detentori dei diritti. A confermarlo è il CEO Enzo Mazza:
La forte differenza tra i ricavi da video streaming e audio, lascia ancora emergere il tema del value gap con piattaforme come YouTube, sulla quale vengono realizzati miliardi di stream (la piattaforma di video sharing è utilizzata per ascoltare musica dall’89% degli italiani – fonte Ispsos Connect 2016) ma che genera pochissimi centesimi per gli aventi diritto a causa di un baco normativo comunitario.
Il vinile (qui in
promozione continua su Amazon), così come confermato anche in Gran Bretagna alla fine dell’anno, si rivela uno dei settori più promettenti su cui investire. Sullo Stivale, infatti, è stato in grado di garantire 10 milioni di ricavi, per una crescita del 52% rispetto all’anno precedente e una quota di mercato ormai al 6%, raggiunta in poco meno di tre anni.