Le emoji sono una cosa seria. Se c’è chi le considera delle banali icone da aggiungere alle chat per rendere i messaggi più colorati ed espressivi, per il Museum of Modern Art di New York rappresentano una forma d’arte da preservare e una è addirittura stata eletta dall’Oxford Dictionary come parola dell’anno nel 2015.
Le faccine, come qualcuno ancora si ostina a chiamarle, hanno di fatto assunto il ruolo di sistema globale per la comunicazione, capace di trascendere i confini imposti dal linguaggio tradizionale, complice anche una diffusione sempre più a macchia d’olio delle applicazioni per la messaggistica istantanea (WhatsApp e simili) e dei social network. Il non semplice compito di standardizzarle è affidato all’Unicode Consortium, realtà non-profit che si occupa di stabilire in che modo simboli e caratteri vengono mostrati su display e monitor. In altre parole, è l’organizzazione che definisce come un’emoji dev’essere visualizzata in maniera univoca su ogni dispositivo, indipendentemente dalla piattaforma o dal sistema operativo utilizzato (Android, iOS, Windows ecc).
Oggi il consorzio ha rilasciato l’ennesima bozza del documento relativo alle specifiche Unicode 10 che, entro giugno, porterà all’introduzione dell’aggiornamento Emoji 5.0, in cui sono contenute un totale pari a 69 nuove emoji, una parte delle quali visibili di seguito nella loro forma preliminare e con alcuni restyling di quelle attuali. Ci sono un uomo barbuto e una donna che indossa il velo, una mamma che allatta il piccolo e un disco volante, bacchette cinesi e guanti, due dinosauri, una zebra e un cappotto.
Se qualcuno ha pensato di combattere la disparità di genere con emoji create ad hoc, altri hanno intravisto in questo mezzo comunicativo un potenziale business da sfruttare nell’industria cinematografica. C’è addirittura chi si è spinto oltre, utilizzandole per la riproposizione di un testo sacro. E pensare che tutto è iniziato nel lontano 1648, ben prima del celebre :) di Scott Fahlman.