Prima sentenza in Italia a favore dei siti di streaming: il Tribunale di Frosinone ha riconosciuto le ragioni della difesa, a seguito di una sanzione di 600.000 euro comminata ad alcuni portati per la violazione del diritto d’autore. A renderlo noto è Repubblica, tramite l’avvocato del gestore dei siti Fulvio Sarzana.
Si tratta di una sentenza in un certo senso storica, poiché per la prima volta in Italia viene riconosciuto l’impianto della difesa in un caso di violazione del diritto d’autore, in particolare per quei portali che offrono link a contenuti ospitati su piattaforme terze. I giudici hanno infatti annullato una sanzione di poco meno di 600.000 euro, comminata ai portali connessi a Filmakers.biz, riconoscendo come le violazioni sul copyright non siano automatiche in caso il fine di lucro non sia evidente. Così ha spiegato Fulvio Sarzana, difensore dei portali in questione, dalle pagine della versione online di Repubblica:
Finalmente un giudice ha riconosciuto che non è automatica la violazione del diritto d’autore se un sito ospita link a streaming di film e musica su internet, anche con banner pubblicitari, se non è chiaro il fine di lucro. […] Il giudice, rilevando come l’indicazione di link non possa qualificarsi come messa a disposizione diretta di file protetti dal diritto d’autore ha ritenuta lecita l’attività del portale. E questo nonostante la presenza di banner pubblicitari. Il giudice infatti ha evidenziato quanto in sé il file sharing, ovvero la condivisione di file protetti dal diritto d’autore, sia un risparmio di spesa e non una attività con finalità di lucro.
Di medesimo avviso anche Marco Scialdone, docente in Digital Copyright presso la Link Campus University di Roma e responsabile del team legale dell’Associazione “Agorà Digitale”, sempre secondo quanto reso noto dal quotidiano:
Per la prima volta, è stato ristabilito lo stato di diritto nelle questioni di copyright. Questo è infatti il primo giudice che riconosce che se non ci sono prove sufficienti, un sito non può essere chiuso e il suo gestore sanzionato. […] Finora invece in Italia c’è stato un automatismo, come un riflesso culturale più che giuridico: se un sito era bollato come pirata, il giudice non usava le solite cautele per verificare l’impianto probatorio. Il tutto perché le tante battaglie politiche fatte dall’industria del copyright ha fatto passare l’idea che certe attività sono di per sé illegali, quindi attenzione del giudice si abbassava nell’affrontare i casi.
La decisione del Tribunale di Frosinone deriva dal riconoscimento, in base al secondo comma dell’articolo 171-ter della legge 633/41, della centralità del fine di lucro per la punibilità di una violazione del diritto d’autore. Tale fine di lucro deve determinarsi come un “guadagno economicamente apprezzabile” o un “incremento patrimoniale”, di conseguenza si rende necessario verificare che un sito di streaming, contenente link a servizi terzi, ottenga effettivamente un guadagno e non un “mero risparmio di spesa“.
Repubblica riporta anche il parere di Federico Bagnoli Rossi, Segretario Generale FAPAV, a seguito dell’annullamento della sanzione in oggetto e, ancora, al rafforzamento della centralità del fine di lucro per la determinazione dell’illecito:
Non conosciamo bene i dettagli del caso non avendovi partecipato, ma dalla sentenza, relativa ad un procedimento civile riguardante l’applicazione di sanzioni amministrative, oltre a emergere la crescente problematica della facilità con cui i gestori mutano il DNS dei siti pirata, risulta evidente la centralità del tema del lucro e dei flussi economici derivanti dalle attività illecite sul web. Proprio ieri è stata approvata all’unanimità dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo” la relazione dell’On. Baruffi, che testimonia ancora una volta l’attenzione del nostro parlamento al tema della pirateria. Nel documento viene sottolineata l’importanza dell’approccio cosiddetto follow the money per il contrasto al finanziamento dei siti pirata derivante dagli introiti pubblicitari. Siamo consapevoli delle difficoltà che s’incontrano nelle attività d’indagine e proprio per questo motivo siamo convinti che gli intermediari debbano assumersi le proprie responsabilità nonché collaborare maggiormente con tutti i soggetti impegnati nella tutela dei contenuti culturali.