Anche in Australia i membri delle istituzioni hanno deciso di non continuare a sponsorizzare la propria attività mediante YouTube. Stop dunque, ad esempio, alle campagne di reclutamento messe in campo da parte del Department of Health o della Defence Force. Si replica così uno scenario già visto altrove il mese scorso, nel Regno Unito.
Da precisare che la misura non riguarda le aziende controllate dal governo, come nel caso di Australia Post, che continuerà a mostrare il proprio advertising sulla piattaforma di video sharing gestita da Google/Alphabet. Il motivo è da ricercarsi nell’esigenza di assicurare che i contribuenti non finanzino involontariamente “organizzazioni ripugnanti”, come dichiarato da Scott Ryan (Australian Special Minister of State Senator). Nel caso della vicenda UK, la scelta è stata attuata dopo che alcune inserzioni pubblicitarie istituzionali erano state affiancate a filmati con protagonista David Duke, un tempo leader del Ku Klux Klan.
Non sono solamente le istituzioni a interrompere la propria attività di advertising su YouTube. Hanno fatto altrettanto (e per lo stesso motivo) nomi importanti del mondo imprenditoriale come Wal-Mart, Pepsi e AT&T, nonché una testata del calibro di The Guardian. Interpellato dalla redazione di CNET sulla vicenda, Ryan ha dichiarato quanto segue.
Il governo australiano continuerà a chiedere aggiornamenti in merito a Google, così da capire in che modo l’azienda ha intenzione di ridurre questo tipo di rischi.
Rispondendo a quanto accaduto nel Regno Unito, nelle scorse settimane il gruppo di Mountain View aveva affermato di voler concedere ai brand un maggiore controllo sulle modalità di visualizzazione delle proprie inserzioni pubblicitarie. Secondo Ronan Harris, managing director di Google UK, il problema sorge in relazione all’enorme mole di contenuti a cui viene associato l’advertising: milioni di siti Web inclusi nel network e 400 ore di video caricati su YouTube ogni minuto.