Alcune fotografie in notturna scattate e condivise da un ingegnere di Google, Florian Kainz, hanno acceso un dibattito in merito alle reali potenzialità degli smartphone più recenti in termini di acquisizione delle immagini. Sono scatti effettivamente di impatto, che immortalano il Golden Gate Bridge e le luci di San Francisco dall’alto di una collina, in una notte di luna piena.
Come è stato possibile ottenerle? Con l’ausilio di un Nexus 6P e ricorrendo a complessi algoritmi software. Un esempio del risultato finale è fornito dall’immagine allegata di seguito: le scie tracciate dalle luci delle automobili lasciano intendere che si tratti di una lunga esposizione, mentre il perfetto bilanciamento tra luci e ombre fa pensare a un HDR (High Dynamic Range). Entrambe le ipotesi sono corrette: lo smartphone è stato posizionato su un cavalletto, per azzerare il rischio del mosso. Poi, il software si è occupato di assemblare più scatti acquisiti in rapida successione, andando così a eliminare il rumore inevitabilmente derivante dall’utilizzo di una sensibilità ISO elevata su un sensore di piccole dimensioni.
Ingrandendo il file per vederlo a piena risoluzione (3951×2222 pixel) la qualità rimane alta, senza la grana tipica del rumore generato in condizioni di scarsa illuminazione.
Analizzando le proprietà del file emerge però che si tratta del frutto di una post-produzione, più precisamente con il software Photoshop di Adobe. Sarebbe utile aver accesso al RAW (non fornito da Google) per capire quali siano le reali performance del sensore messo alla prova con la fotografia in notturna.
Per completezza d’informazione, va precisato che Kainz non nasconde in alcun modo l’intervento in post-produzione sullo scatto, scrivendolo a chiare lettere nel proprio post, dove possono essere visualizzati altri esempi. Ciò che dev’essere chiaro è che sebbene la fotografia mobile stia compiendo passi da gigante, equiparare le capacità di acquisizione di uno smartphone a quelle di un dispositivo dedicato (come può essere una reflex o una mirrorless) ed equipaggiato con un’ottica di qualità significa non aver consapevolezza di ciò che costituisce il ruolo del fotografo: l’app e gli algoritmi che vanno a eliminare un difetto di acquisizione, di fatto, manipolano l’immagine catturata e ne alterano la natura.
Sebbene questo possa tradursi in un impatto visivo migliore, costituisce un limite alla libertà espressiva. In altre parole, il fotografo deve poter essere in grado di sbagliare, di ottenere scatti mossi, non perfettamente a fuoco o sbilanciati nel rapporto luci-ombre. La bravura sta proprio nel padroneggiare lo strumento in modo da controllare ogni variabile, generando immagini che traducono in qualcosa di concreto e tangibile le intenzioni che anticipano lo scatto. Le capacità fotografiche di uno smartphone non sono dunque confrontabili con ciò che offre un prodotto dedicato poiché le inevitabili limitazioni derivanti dalle ridotte dimensioni del sensore e dell’ottica devono essere mascherate con l’intervento di un algoritmo o di un software. Ciò non significa non concordare sull’utilità e sulle potenzialità della fotografia mobile, ma è bene conoscerne le caratteristiche e il funzionamento per ottenerne il meglio senza essere condizionati dalle sue stesse tecnologie.